Al festival del fumetto Nues tutte le donne di Luca Enoch

Luca Enoch è l’ospite più importante di questa due giorni del Festival Nues dedicata alle donne. Oggi sarà, assieme a Bepi Vigna, il protagonista di un incontro con il pubblico interamente dedicato a lui, alle 18 alla MeM, la Mediateca di via Pola e lì si parlerà dei suoi fumetti.

Nato fumettisticamente all’alba degli anni ’90 con la vittoria al Convegno Internazionale del Fumetto e del Fantastico di Prato e nel 1992 da alla luce Sprayliz, un fumetto dedicato alla protagonista omonima, una esuberante adolescente ribelle ai dogmi della società fasulla dell’Italia di quegli anni, fatta di ipocrisia e perbenismo. La ragazza ama gli artisti di strada, è anticonformista, graffitara e dalla sessualità vorace e disinibita, un manifesto di intenti che è rimasto nel cuore di tutti i suoi lettori
Forte del successo di Sprayliz e dell’interesse mosso in Sergio Bonelli, Enoch entra a far parte della scuderia dell’editore milanese, per il quale crea una nuova protagonista, Gea.
Gea, la cui uscita datata giugno 1999, è stata la consacrazione di questo autore atipico del panorama mainstream italiano. Durata 18 numeri, con cadenza semestrale, la maxi serie di Enoch ci proietta nell’eterna lotta tra Paradiso e Inferno, tra Angeli e Demoni e di uno dei guerrieri umani che combattono con le schiere celesti, il baluardo chiamato Gea.
La poetica del giovane autore si manifesta per la prima volta in maniera palese in una sarabanda di citazioni del mito, permea la narrazione di esoterismo e simbolismo diventando un fumetto di culto nei nove anni della sua vita editoriale. A un anno esatto dall’addio a Gea, i trentacinquemila lettori di Enoch lo rivedono affacciarsi dalle edicole con una nuova storia, sempre con una donna come protagonista, Lilith.
Non più una adolescente, non più un racconto del Mito, ma fantascienza robusta con una giovane donna protagonista che si muove tra epoche e generi narrativi differenti proveniente da un futuro in cui la razza umana è sull’orlo dell’estinzione. Da allora sono trascorsi otto anni, e nel frattempo è arrivato, sempre per la Sergio Bonelli Editore, un nuovo protagonista, ed una nuova serie, la prima fantasy per la SBE, scritta in collaborazione con Stefano Vietti, intitolata Dragonero.
Oltre a numerosi altri progetti realizzati in Italia o per editori d’oltralpe (Morgana, Rangaku).
“Sono orgoglioso di presentarvi il risultato della fantasia e del talento grafico di un cartoonist che fa indiscutibilmente onore al mondo delle nuvole parlanti” diceva di lui Sergio Bonelli nel primo numero di Gea e non ci sono parole migliori di queste per rendergli omaggio.

Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare e spiegare il suo rapporto con i fumetti.

Partiamo dall’ultimo dei tuoi lavori a fumetti, quel Dragonero che ha sancito la rinascita del fantasy fumettistico italiano. Che rapporto hai con il genere?
Il fantasy è sempre stato un mio grande amore, al pari della SF stellare, da quando lessi al liceo il Signore degli Anelli e, a seguire, i suoi epigoni più o meno illustri. In seguito sviluppai anche un grande interesse per le leggende nordiche e le saghe norrene, da cui Tolkien prese il materiale per la sua opera. Alla Bonelli mancava questo genere letterario “puro” e Vietti ed io siamo stati felici di essere riusciti a riempire quella nicchia vuota.

Contrariamente ai tuoi lavori “a solo”, da Sprayliz a Lilith, questa volta la figura centrale e di riferimento è maschile. Come ti approcci alla scrittura in questo caso?
Con diffidenza (sorride)… Io preferisco i personaggi femminili, ho bisogno di muovere dei personaggi che mi affascinano piuttosto che – come invece succede ad altri autori – personaggi in cui identificarmi. Non è un caso se, a circondare il protagonista, ci siano donne forti e affascinanti, sia come comprimarie che come antagoniste.

La collaborazione a quattro mani con Vietti, co-creatore della saga, come si svolge?
Noi lo chiamiamo “rimpallo continuo”. Via mail, per telefono o via Messenger ci scambiamo senza soluzione di continuità idee per soggetti, abbozzi di storie, bozzetti di personaggi, immagini per ispirazione e via così. I soggetti delle storie importanti ce li rimpalliamo fino a quando ne siamo soddisfatti e poi ognuno realizza la sua sceneggiatura, che alla fine viene visionata anche dall’altro. Per le linee guida narrative principali e la continuity della macro trama ci si vede di persona un paio di volte al mese (viviamo a un’oretta di macchina di distanza) per dei brainstorming a tutto campo.

Dal fumetto al romanzo, perché lanciare un libro fantasy in un mercato come quello italiano che ha comunque un basso numero di lettori?
Per autolesionismo? Delirio di onnipotenza? Mah… per noi, nel momento in cui progettammo questa serie fantasy, fu naturale pensarla con estensioni nella narrativa e nell’universo ludico dei giochi di ruolo. Avere avuto una casa editrice importante come Mondadori che ha creduto nel progetto ci ha reso molto orgogliosi del nostro personaggio.

Sono rari nel tuo ambiente i giocatori di ruolo…
Io non ho esperienza coi giochi di ruolo, pur essendone sempre stato affascinato. Invece Vietti era un giocatore accanito.

Torniamo alla figura femminile, centrale in tutta la tua produzione e oggetto dell’incontro  alla MeM, in occasione di NUES..

Come ti sembra venga generalmente trattata la figura femminile nel fumetto?
Bisogna fare una distinzione tra fumetto internazionale e la piccola realtà del fumetto italiano. Internazionalmente mi sembra che, dall’avvento dei supereroi, la figura femminile si sia affrancata dal ruolo del personaggio subalterno all’eroe maschio e divida la scena equamente con i protagonisti maschili. In Italia, questo lo abbiamo avuto in maniera eclatante solo con la “Valentina” di Crepax, per quanto riguarda il fumetto d’autore, mentre in quello popolare la figura femminile ha faticato a lasciarsi alle spalle gli stereotipi della donzella in difficoltà, della compagna fedele o della femme fatale. Basta guardare la foto di gruppo degli eroi Bonelli: le donne titolari di testata sono in netta minoranza (e due sono mie!).

Qual’è stata, oppure qual’è in realtà, la molla che ti spinge a raccontare le tue storie sempre da un punto di vista femminile?
Umberto Eco diceva – chissà poi se lo ha detto davvero… – che gli autori di fumetti disegnano personaggi in cui voglio riconoscersi. Forse aveva in mente Hugo Pratt con il suo “Corto Maltese”. Come ho scritto prima, credo che altri autori sentano l’esigenza di scrivere personaggi da cui sono affascinati, senza alcun bisogno di identificarsi con loro. Creare e muovere personaggi donne mi da inoltre la falsa sensazione di conoscere l’universo femminile e di poterlo muovere a mio piacimento. Quando poi poso la penna sul tavolo, la mia realtà di maschio poco dominante e molto minoritario in famiglia cala sulle mie spalle come una scure sul ceppo!

Le tue donne sono figure forti che raggiungono però la loro piena indipendenza dopo un lungo viaggio travagliato, di formazione, non omologabili e sempre e comunque ribelli.
Mi piacciono i personaggi in divenire non ancora formati, ancora alla ricerca della propria posizione nel mondo, con la strada non del tutto segnata. Sono i più interessanti da raccontare; infatti, sia Gea che Sprayliz sono due adolescenti, mentre Lilith inizia il suo viaggio nel tempo senza aver in alcun modo chiaro il percorso che l’aspetta.

Lilith e Gea vivono avventure sanguinose e violente, non ti mancano i tempi spensierati di Sprayliz?
Un poco sì. All’epoca scrivevo e disegnavo senza un progetto, a braccio, e il tono delle storie di Liz era senza dubbio molto più leggero delle sue sorelline più giovani, anche se la violenza fece comunque la sua comparsa nell’universo di Sprayliz, con la figura del culturista dopato, psicopatico e collezionista di teste.

Simbolismo, religione, cabala, cultura underground, ogni tuo lavoro è contaminato da questi, e molti altri, elementi non “comuni”, cosa li rende così affascinanti per te?
Tutto ciò che è esoterico, dissidente, minoritario, rimosso o esecrato è più interessante del pensiero dominante che, solitamente, tende a fare ogni sforzo per preservare se stesso e per rifuggire dal cambiamento. E di solito gli elementi più vitali e innovativi di una società si nascondono nelle sottoculture o nelle culture di minoranza.

Christian Scalas

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