Fuoritema (ma non fuori rotta): quinta uscita per la rivista sarda di fotogiornalismo

Sono passati tre anni dall’uscita del numero zero di Fuoritema, la prima ed unica rivista di fotogiornalismo edita in Sardegna. Sembrava una breve avventura ma il sasso lanciato nello nello stagno dell’editoria sarda ha provocato onde concentriche sempre più ampie e produttive. Siamo al numero 5 ed ora il vascello del collettivo “S’Umbra” rompe gli indugi si dirige, con il conforto del successo raggiunto, verso il mare aperto.

«Avremmo voluto — dice Luisa Siddi, direttrice responsabile della rivista — raccontarvi la fine del mondo. L’abbiamo attesa senza sperarci troppo. Allora abbiamo pensato di raccontarvi la fine di un modo. La fine della favola della obiettività del cronista. E’ più che mai necessario, inevitabile, rivendicare il proprio punto di vista e la fotografia deve essere in prima fila in questa battaglia. Deve irrompere sulla scena, piantarla con il ruolo di testimone innocente e urlare la propria parzialità. Nessuno è innocente e il fotografo è parte di quello che osserva, lo vive in prima persona e la storia degli altri diventa (lo voglia o no) la sua storia».

Così sul vascello de “S’Umbra” si imbarcano nuovi testimoni (i nomi non sono importanti per un giornale che rivendica la sua anima collettiva) che raccontano le storie vissute. Storie attuali, che reclamano l’urgenza di essere rappresentate.

Primo approdo a Is Mirrionis, quartiere cagliaritano dai mille volti e mille problemi raccontato con un progetto, denominato Invisible People. è la messa in scena di una normalità anormale raccontata con installazioni fotografiche dove particolari di volti raccontano, inseriti nel contesto urbano, mille storie.

Poi l’autorappresentazione del collettivo “Andaiola”, gruppo nato per caso durante uno stage sullo sguardo sulle donne, e ora progetto fotografico che rispedisce al mittente quegli sguardi maschili lascivi ed ammiccanti, segni di uno stereotipo duro a morire.

Un rapido approdo verso la Val di Susa e i NO TAV raccontati con mostre estemporanee organizzate nei luoghi più disparati, dai vagoni dei treni alle poltrone della Tirrenia.

La constatazione che in Italia , ogni tre giorni, una donna viene uccisa da un uomo che dice di amarla ci porta in Africa dove il femminicidio è raccontato con teneri ritratti didascalizzati con modi di dire africani come: “ temi la donna e lascia stare il serpente” …

Nuovamente in Sardegna a narrare l’agonia di luoghi dimenticati come l’ex distilleria Zedda Piras, alle porte di Pirri. Un complesso industriale, che mostra ancora i segni dell’antica nobiltà, destinato a finire in pasto alla speculazione edilizia che trasformerà questo prezioso luogo della memoria in anonimo condominio per ricchi.

E poi l’ILVA di Taranto, paradosso irrisolto fra diritto al lavoro e diritto alla salute, crocevia di ricatti e speculazione sulla pelle di una città.

Infine l’hangar della speranza, racconto visionario e surreale, dove sogno e realtà si intrecciano e si confondono. Dove facendo finta di raccontare luoghi immaginari si finisce per rappresentare frammenti e metafore di storie fin troppo vere.

Un lavoro ricco di spunti e di contenuti, vissuti in prima persona, con un bianco e nero ruvido e scarno ed un colore che sfronda il superfluo per arrivare all’essenza dei significati. Lontani da facili mode estetizzanti e da rappresentazioni pittoriche del dolore che oggi vanno così di moda da fare incetta di tutti i più prestigiosi premi internazionali.

Qui si raccontano le cose senza fronzoli ed orpelli, rivendicando con orgoglio il punto di vista stando dall’altra parte, che non è quella sbagliata, ma solo quella più scomoda.

E mentre esce questo quinto numero, distribuito in abbonamento e in numerose librerie cagliaritane (Bastione, libreria Tiziano, libreria Murru e altre) la ciurma dei visionari de “S’Umbra” è già in viaggio verso altre storie. Sempre rigorosamente Fuoritema, ma mai fuori rotta.

Enrico Pinna

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