Addio a Mario Dondero, grande fotografo amico di Pablo Volta

Dopo una lunga malattia è morto nella sua casa di Fermo Mario Dondero, figura storica del giornalismo Italiano, autore di splendidi reportage, tenace assertore di una visione di fotogiornalismo etico e coerente, alla costante ricerca di giornali che volessero fare del grande giornalismo e non dei bassi affari.

Molti ricordano ancora la sua ultima sua mostra in Sardegna, “A proposito di Robert Capa”, nel settembre del 2013 al festival “Isole che parlano”, accompagnata da un indimenticabile Incontro/lezione: “Riflessioni sull’etica di un mestiere”. Alla Sardegna lo legava la sua lunga amicizia con Pablo Volta, conosciuto al Bar Jamaica e ritrovato poi a Parigi.

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Era un uomo dolce, sorridente, dotato di una garbata ironia. L’umorismo salva il mondo diceva. Era nato a Milano nel 1928 e, appena sedicenne, partecipò alla lotta partigiana. Dopo la guerra le sue idee politiche lo orientarono verso un giornalismo a carattere sociale collaborando con diversi quotidiani della stampa italiana come “L’Unità”, “L’Avanti”, “Milano Sera”,“L’Ora”.

Mario faceva allora parte del gruppo dei “Giamaicani”, dal nome del ritrovo milanese di artisti ed intellettuali, il Bar Jamaica.  Si trasferì, nel 1955, a Parigi dove continuerà a collaborare sia con la stampa italiana (particolarmente “l’Espresso” e “Epoca”) sia con quella francese (“Le Monde”, “Le Nouvel Observateur”).

Nella sua vita ha fotografato la guerra e la pace, con il suo stile sempre garbato, mai inutilmente spettacolare. « polemizzo sempre — disse nel suo ultimo ed indimenticabile incontro sardo — col mio amico Sebastião Salgado. Fa delle foto troppo belle per le tragedie che rappresentano, te le fa dimenticare.»

I suoi modelli erano Robert Capa e Henry Cartier Bresson e, come scrive di lui Uliano Lucas nel suo ultimo libro: “Era un anarchico senza fissa dimora, padrone del suo tempo, affascinante narratore di storie e animatore di utopie, vivrà con tenace caparbietà una vita sospesa nel presente dei suoi scatti, delle relazioni umane che costruisce e scopre di giorno in giorno e che cattura in immagini attraversate da una continua tensione morale”.

La Fotografia era per lui un mezzo, non un fine:  “Deve sempre rimaner chiaro — scrisse — che per me fotografare non è mai stato l’interesse principale, ancora oggi non mi reputo un fotografo tout court. A me le foto interessano come collante delle relazioni umane, o come testimonianza delle situazioni. Non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono”. Ed è questo il grande testamento morale che lascia in dono a tutti i fotografi del mondo.

Enrico Pinna

 

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