Teatro, a Sassari e Ozieri in scena “Lo stupro di Lucrezia” di Shackespeare

La virtù violata e la fine dell’innocenza ne “Lo stupro di Lucrezia” di William Shakespeare, in cartellone per la Stagione di Prosa 2013-14 del CeDAC nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo, andrà in scena oggi, domani e mercoledì tra Sassari e Ozieri nella produzione del Teatro di Dioniso.

Dopo il debutto regionale di domenica a Palau lo spettacolo, con adattamento e regia di Valter Malosti approderà lunedì 14 e martedì 15 aprile alle 21 per un duplice appuntamento sul palco del Nuovo Teatro Comunale di Sassari; e infine mercoledì 16 aprile sempre alle 21 al Teatro Civico Oriana Fallaci di Ozieri.

Il dramma moderno segue la traccia della visionaria scrittura in versi, in una sorta di flusso di coscienza che si sdoppia e si moltiplica nel ricordo dei protagonisti – da Collatino, il marito “oltraggiato”, e involontario “testimone” indiretto della vicenda che ha travolto la sua casa – quasi l’io narrante della storia – incarnato da Valter Malosti; alla stessa Lucrezia, ignara femme fatale che induce al delitto contro la propria volontà, per la sua beltà e virtù, interpretata da Alice Spisa (vincitrice del Premio Ubu come miglior attrice Under 30 nel 2013); a Sesto Tarquinio, il reo, incapace di reprimere i propri impulsi, quasi vittima di momentanea follia oltre che di un’indole sfrenata, che ha corpo e voce di Jacopo Squizzato.
(L’uso del nudo in scena, ma soprattutto il tema suggeriscono la fruizione dello spettacolo da parte di un pubblico adulto).

La trama è nota: la bella Lucrezia, casta sposa di Lucio Tarquinio Collatino, viene concupita da Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma, che respinto abusa di lei (con la complicità della Notte, del Tempo e dell’Occasione); la donna confessa l’accaduto al padre e al marito, rivendicando la propria innocenza, e in quel lungo e struggente monologo Shakespeare dà voce e indaga l’animo della vittima, in una riflessione sullo stupro e sulle sue risonanze più profonde da un punto di vista squisitamente femminile. L’episodio, che risale al mito antico sulle origini di Roma – e riflette un immaginario duplice sull’onta di un governo straniero, e soprattutto sull’arroganza del potere e la brutalità dei tiranni – segnerà la fine della monarchia, con l’esplodere dell’indignazione popolare e soprattutto la rivolta dell’aristocrazia contro il sovrano etrusco; e quindi l’inizio della repubblica.
Shakespeare s’ispira all’antica leggenda narrata da Tito Livio per dar consistenza a incubi e paure, deliri notturni e fughe dalla realtà: la violenza subita da Lucrezia sulla sua carne, l’amore strappatole con la forza, frutto dell’inganno e del tradimento dell’ospite, son conseguenza del caso e delle circostanze avverse, e la sua stessa virtù attrae sul suo capo la tragedia. L’oscurità protegge il seduttore, che penetra nella camera di lei e oltraggia il talamo nuziale, disposto a tutto pur di soddisfare il proprio desiderio: consapevole dell’iniquità del suo gesto, Tarquinio non riesce a vincere (e forse non vuole) il dominio di eros, costringe la sua vittima a sottomettersi al suo piacere, abusa di lei poi, vile, scompare.

La sequenza degli eventi – dalle vanterie tra militari, e l’insulsa gara tra generali sulle qualità delle rispettive mogli che accende la fantasia di Tarquinio, inducendolo a innamorarsi dell’affascinante e savia sposa del Collatino, tra tutte la meno incline a divertimenti e trasgressioni, all’opportunità offerta dall’etichetta, che impone di dar ospitalità al principe in visita, e dalla quiete della notte – sembra costituire un meccanismo implacabile, la trappola nella quale la donna si troverà rinchiusa senza scampo. Le grida di Lucrezia si perdono nel silenzio della casa, la sua ribellione val poco contro la forza e le minacce, per salvare il proprio onore e la propria dignità, e ritrovare se stessa intatta oltre l’orrore di quella notte, non le resta che un’unica via: la lama lucente di un pugnale. Nel suo racconto, dettagliato e implacabile ella rievoca tutti i passaggi, i singoli momenti che conducono all’appuntamento con un destino crudele, dall’ingenua vanteria del marito diventata causa della sua disgrazia alla cieca determinazione dell’aggressore, insensibile alle sue preghiere.
Viaggio nella mente di una donna straziata e ferita, ma lucida e cosciente, decisa ad ottenere giustizia – o vendetta – per mano di coloro che non hanno saputo difenderla dall’oltraggio: l’umiliazione, il disgusto, la rabbia e la vergogna che accompagnano la violenza, la traccia indelebile sulla psiche, il riaffiorare dei ricordi, in un confuso, drammatico crescendo di sentimenti contrastanti, son quelli che proverebbe – e prova – ogni volta la vittima di un abuso. Lucrezia spezza il cerchio, sfugge alla pazzia e al dolore – ma anche al coro delle insinuazioni e delle maldicenze – con un atto estremo e insindacabile: affida ad altri la sua vendetta, la sua istanza di giustizia (che non cancella l’offesa, ma ristabilisce un equilibrio nella società ristabilendo i ruoli e la verità su vittima e carnefice).
“Lo stupro di Lucrezia” pur nella dimensione alta della poesia affronta un tema attuale e scottante, quello della violenza di genere e del femminicidio, solleva il velo sul turbamento della vittima, sull’abisso nel quale un gesto in se concluso può trascinare una creatura umana, avvicinandola ai territori della follia: nell’opera scritta nel 1594 e dedicata – come il poema gemello “Adone”, già messo in scena da Malosti – a Henry Wriothesley, duca di Southampton, Shakespeare si dimostra ancora una volta attento osservatore e indagatore dell’animo femminile, fine psicologo e insieme acuto critico dei costumi e della doppia morale e dei pregiudizi della società elisabettiana, e occidentale.

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