Soldi alle private, una scelta sbagliata. Ecco (dati alla mano) perché

Mettiamola così, per iniziare: con 18 milioni di euro non si potrebbero aprire 252 scuole pubbliche per l’infanzia, e questo – secondo alcuni, verosimilmente anche per la Giunta regionale e l’assessora Firino che ha firmato il provvedimento – dovrebbe bastare a giustificare la scelta di destinare questa somma ingente (ma non sufficiente per un’analoga offerta pubblica di servizi) alle scuole private, che rappresentano quasi un terzo delle scuole per l’infanzia della Sardegna. Nell’isola, infatti, ci sono 770 scuole per l’infanzia, di cui 517 pubbliche e 253 private. Le 253 scuole per l’infanzia private accolgono il 29 per cento dei bambini e delle bambine iscritte ad una scuola d’infanzia in Sardegna: su circa 42.000 iscritti, 12.300 sono iscritti a scuole private (dati Istat aggiornati al 2012).

A me non sembra che questi numeri – né altri, che peraltro non si sono curati di fornire – possano giustificare la scelta compiuta dall’assessora regionale alla pubblica istruzione (l’assessorato ha questa denominazione, tradotta anche in sardo, contrariamente al Ministero che ha abbandonato il riferimento all’istruzione pubblica durante uno dei governi Berlusconi): a volte non guasta ricordarsi che cosa c’è scritto dietro la poltrona su cui ci si è seduti.

Credo che le scelte politiche – se tali sono – si debbano spiegare, dimostrando in questo caso che le 253 scuole per l’infanzia private a cui si destinano 18 milioni di euro rispondono al sistema educativo che si considera adeguato per l’interesse pubblico. Altrimenti l’impressione è che si tratti banalmente – e gravemente – del pedissequo adeguamento a scelte prese da altri governi, in tempi più o meno lontani, senza valutarle e metterle in discussione.

Insieme alla Calabria, la Sardegna è la regione con la più alta percentuale di scuole per l’infanzia statali sul totale di quelle pubbliche: sono il 98,3 per cento. La media nazionale è dell’85 per cento, in Emilia Romagna sono il 73,5 per cento, perché i comuni hanno realizzato nel tempo i servizi educativi che servivano e molte scuole per l’infanzia sono comunali. Laddove lo Stato non è arrivato, le comunità locali hanno provveduto. Questo individua già una differenza su cui riflettere, tanto più in una regione che ha avuto margini di autonomia maggiori rispetto ad altre a statuto ordinario. Tra le scuole non statali finanziate dalla Regione ce ne sono anche comunali, quindi pubbliche: le scuole per l’infanzia comunali sono 11 in tutta la Sardegna (5 a Cagliari e una a Villasor, S. Antioco, Loculi, Alà dei Sardi, Luras, Siligo). C’è da chiedersi come mai queste scuole pubbliche, anche se non statali, sono considerate come quelle private: dall’elenco pubblicato dall’Assessorato risulta per esempio che una scuola materna comunale di Cagliari con 125 alunni (alcuni disabili) riceve un finanziamento inferiore ad una scuola materna privata con 101 alunni.
Il 60 per cento delle scuole per l’infanzia private a cui vanno i finanziamenti pubblici regionali è di ispirazione cattolica (sono circa 150): anche questo è un dato su cui riflettere. E’ vero che nell’alto medioevo l’istruzione era interamente fornita dalla Chiesa, ma era appunto il medioevo: poi sono nati gli Stati moderni, il welfare e i diritti di cittadinanza. Il finanziamento pubblico a scuole per l’infanzia private e non laiche è la misura della resistenza all’estensione dell’intervento pubblico, che incomprensibilmente non ha ancora incluso la scuola per l’infanzia nell’obbligo scolastico, così da darsi un alibi per la solo parziale copertura di un servizio che “concorre, nell’ambito del sistema scolastico, a promuovere la formazione integrale della personalità dei bambini dai tre ai sei anni di età, nella prospettiva della formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi alla vita della comunità locale, nazionale ed internazionale. (DM 3 giugno 1991, Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali).

E’ difficile sostenere che le scuole per l’infanzia private rappresentano “un presidio del territorio, soprattutto laddove lo Stato non è in grado di adempiere agli obblighi costituzionali” (affermazione grave sotto molti profili), visto che ben 30 scuole private sono a Cagliari, 14 a Quartu S. Elena, 12 a Olbia, 10 a Sassari, 7 a Capoterra, 6 a Monserrato, 5 a Selargius e altrettante ad Alghero, 4 a Sinnai (e siamo a 93) e almeno 2 o 3 nei centri principali come Carbonia, Iglesias, Nuoro.

Il privato non presidia il territorio, presidia il mercato: va dove c’è domanda di servizi, non rischia di offrire servizi dove la domanda non è certa o non è sufficiente a trarne un profitto adeguato. Il privato non fa mai ciò che lo Stato non riesce a fare, Stato e mercato non sono intercambiabili: spiace ricordarlo a un rappresentante delle istituzioni. E’ una penosa bugia, dunque, una risposta improvvisata o suggerita da consiglieri inetti. Questa risposta dimostra che l’assessora non conosce il sistema dell’istruzione in Sardegna, non è consapevole dei problemi che è chiamata ad affrontare e della necessità di avere delle idee da realizzare (nuove, non quelle dei governi democristiani degli anni Ottanta).

Secondo l’altra irragionevole risposta fornita dall’assessora dovremmo considerare i 18 milioni di euro come una sorta di ammortizzatori sociali: “Dietro queste risorse, oltre al servizio offerto alle famiglie di territori spesso privi di servizi essenziali (abbiamo visto che non è vero), ci sono centinaia di lavoratori. Docenti, impiegati, personale ausiliario che svolgendo un lavoro prezioso per la comunità, garantiscono a volte l’unica busta paga per tante famiglie sarde.” Non politiche per l’istruzione, dunque, ma ammortizzatori sociali, generici e generosi sostegni all’occupazione (senza peraltro che la Regione riceva alcuna garanzia rispetto alle condizioni contrattuali e di lavoro nelle scuole per l’infanzia private). La retorica del lavoro prezioso non può reggere in assenza di una politica per l’istruzione, di un progetto che indichi gli obiettivi da raggiungere nel medio periodo per rafforzare l’istruzione pubblica in Sardegna, riducendo o rimodulando il finanziamento alle scuole private sulla base di criteri di utilità collettiva.

Aspettiamo di conoscere il piano dell’assessora contro l’abbandono scolastico (sperando che ce ne sia uno), perché in Sardegna deteniamo il record nazionale di questo grave fenomeno: chissà se sono avanzati dei soldi per evitare che il 25,5 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni continui ad abbandonare gli studi senza avere conseguito un titolo superiore alla licenza media.

Se in tempi di pesanti tagli alla spesa pubblica sono disponibili 18 milioni di euro per finanziare le scuole d’infanzia private, ci attendiamo che per rafforzare la scuola dell’obbligo (primaria e secondaria), non solo dal punto di vista edilizio, si troveranno risorse proporzionalmente adeguate. Del resto, ne sprechiamo tuttora un’infinità (a cominciare dai vergognosi vitalizi) e nei decenni trascorsi con i soldi pubblici sprecati in mille rivoli avremmo potuto costruire ben più di 252 scuole per l’infanzia.

Ci auguriamo quindi che all’assessorato regionale alla pubblica istruzione stiano lavorando alacremente alla definizione di un piano serio per innalzare il livello di istruzione in questa regione in cui il titolo di studio più diffuso è ancora la licenza media. Il dubbio è che anche lì dentro si pensi solo ai talenti e alle eccellenze da sostenere, lasciando gli altri in un mare di ignoranza.

Lilli Pruna

LEGGI ANCHE: Scuole private: bene assessore, ma passiamo dalle parole ai fatti.

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