La ‘riforma’ della sanità: cambiare tutto per non cambiare nulla

Tra qualche giorno approderà in Consiglio regionale la cosiddetta ‘riforma’ sanitaria. Ad essere sinceri appare abbastanza pretenzioso chiamare riforma una serie di norme che contraddicono lo spirito e le finalità che si volevano perseguire. Si voleva ridurre il numero delle ASL ed invece sono aumentate (Azienda regionale per le emergenze e urgenze e la Centrale regionale di committenza), si voleva ridurre il disavanzo della spesa sanitaria, ben 500 milioni di euro, ed invece si rischia di aggravarlo proprio mentre sulla spesa sanitaria sta per abbattersi la mannaia dei tagli governativi. Ma forse si tratta solo di un primo passo in attesa della riforma vera e propria. Ed allora vediamo di ipotizzare quali potranno essere i contenuti della riforma che verrà. Il sospetto è che si stia portando avanti un puro esercizio di ingegneria istituzionale: far coincidere la riforma delle sanità con quella degli enti locali, divenuta indifferibile all’indomani della cancellazione delle province.

Il numero delle ASL e la loro estensione territoriale dovrebbe coincidere con gli aggregati dei comuni (più unioni di comuni di nuova istituzione). L’obiettivo sarebbe quello di individuare quattro ASL che scaturirebbero da una parziale scomposizione delle quattro province storiche, a cui si aggiungerebbero l’Azienda Ospedaliera di Cagliari (Brotzu, Oncologico e Microcitemico), le due Aziende miste Ospedaliero-Universitarie di Cagliari e Sassari, più l’Azienda per l’emergenza e la Centrale unica di committenza. Un dubbio sorge spontaneo: all’interno di queste ipotesi, che posto occupano i bisogni di salute dei cittadini sardi? Cosa ne pensano i cittadini utenti, gli operatori sanitari, le associazioni dei pazienti? Sono stati interpellati? Sono stati coinvolti?

Si percepisce, in questo modo di operare, una modalità vecchia di affrontare il tema della salute. Si privilegia la “sanità” intesa come fatto gestionale e organizzativo (commissari, direttori generali, direttori sanitari, amministrativi, ospedali) a scapito della “salute”, intesa come benessere fisico, psichico e sociale della persona umana. Ecco perché sarebbe propedeutica una vera e propria rivoluzione culturale che ponesse al centro non gli aspetti gestionali ma l’uomo, i suoi bisogni, i suoi diritti. Un divario culturale testimoniato anche dal fatto che mentre a livello nazionale esiste il Ministero della Salute, in Sardegna vige ancora l’Assessorato della Sanità. Sono trascorsi otto mesi dall’insediamento del governo regionale, e secondo alcuni già sufficienti per esprimere un giudizio compiuto. Quello che si percepisce è una ostinata perseveranza nel voler ripetere alcuni errori del passato. Una sorta di coazione a ripetere che si traduce nel riproporre la vecchia concezione “ospedalocentrica”, a scapito della prevenzione territoriale: si è finito per parlare sopratutto del San Raffaele di Olbia, dell’Ospedale di San Gavino e poi ancora di quello di Alghero. La salute è un tema che appassiona i cittadini, più che il numero delle ASL, i nuovi ospedali, i nuovi commissari, i nuovi direttori generali. Sono convinto che bisogna continuare a dare credito ai buoni proponimenti e alla volontà riformatrice dell’Assessore della Sanità, nella consapevolezza però che il tempo a disposizione non è illimitato.

Massimo Dadea

 

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