Massimo Dadea: “Ma la giunta ha o no un progetto istituzionale per la Sardegna?”

Con troppa fretta è stata archiviata la notizia sull’esito del referendum consultivo tenutosi domenica scorsa in Catalogna. Il popolo catalano ha ribadito in modo incontrovertibile la volontà di rendersi indipendente da Madrid: Spagna e Catalogna due Stati separati e distinti. Non è un caso che il referendum sulla indipendenza della Catalogna si sia tenuto in concomitanza con il 25° anniversario della caduta del muro di Berlino: la eventuale separazione della Catalogna da Madrid rischia di avere in Europa degli effetti altrettanto dirompenti.

E la Sardegna? Una ricerca dell’Università di Cagliari, in collaborazione con quella di Edimburgo, condotta attraverso un questionario a cui avevano risposto oltre seimila cittadini, aveva evidenziato dei risultati alquanto sorprendenti: ci sentiamo più sardi che italiani, nove sardi su dieci vorrebbero un governo locale con maggiori poteri, ma soprattutto il 40% degli intervistati si spingeva a sognare l’indipendenza. A distanza di poco meno di due anni, quella percentuale è cresciuta di cinque punti percentuali: il recente sondaggio Demos-la Repubblica, attribuisce alla Sardegna un “indice di indipendentismo” del 45%, ponendola al secondo posto dopo il Veneto tra le regioni italiane.

Di che stupirsi? Sono oramai molti i segnali di una profonda insoddisfazione nei confronti di uno Stato che ha reso carta straccia il patto costituzionale che lega la Sardegna all’Italia. Cosa rimane della Autonomia speciale? Poco o niente: una scatola vuota, priva di poteri. Il governo nazionale, con i suoi ultimi provvedimenti legislativi – vedi lo “Sblocca Italia” – non si cura più neanche di salvare le apparenze: cancella con un tratto di penna quello che rimane delle nostre prerogative statutarie. Lo stesso governo che si appresta, con la modifica del Titolo V della Costituzione, a staccare anche l’ultima etichetta: Sardegna, Regione a Statuto speciale.

L’Autonomia è morta, afferma oramai da qualche anno Pietrino Soddu. Sarebbe però sbagliato se attribuissimo tutte le colpe della fine della Autonomia allo Stato patrigno. Molte e gravi sono le nostre responsabilità. L’Autonomia è stata concepita, sin dall’inizio, come una rivendicazione economico-sociale. Quella che lo storico Giangiacomo Ortu, definisce “l’Autonomia illusoria”: l’illusione di un riscatto concepito solo in termine economici (art. 13 dello Statuto). Niente a che vedere con una Autonomia che giustificava la sua specialità sulla identità e soggettività di un popolo che, prima di essere italiano, è sardo.

E’ lecito chiedersi: il governo regionale ha un progetto di riforma istituzionale? A meno che per “progetto” non si intenda la stanca riproposizione della rinegoziazione della Autonomia speciale. Tutto questo appare sorprendente se si pensa che la Giunta regionale si regge anche sull’apporto di forze politiche che si dichiarano “sovraniste” e “indipendentiste”.

Massimo Dadea

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