La lezione di giornalismo degli scheletri di Orgosolo

La storia degli scheletri nella grotta di Orgosolo è appena cominciata e ancora non si sa come andrà a finire. Ma già può essere raccontata. Non in un convegno sulla criminalità tradizionale sarda, né in un congresso di speleologia, nemmeno in un seminario sul test del Dna. Gli elementi certi di cui si dispone al momento consentono solo di raccontarla in una scuola di giornalismo. Per spiegare la forza immensa degli stereotipi e dei pregiudizi.

Perché è successo questo. Che un certo giorno, terribile per la Sardegna, la violenza del ciclone Cleopatra svela un cunicolo di cui si era persa la memoria. Una pattuglia di agenti della Forestale vi entra dentro e trova un mucchio di ossa. Appartengono, secondo le prime stime, a tre scheletri. C’è anche un teschio che presenta un foro. Non vi è traccia di resti di indumenti. La datazione è impossibile. Per stabilirla in modo approssimativo (con un margine di errore di una decina d’anni) bisognerà attendere le analisi scientifiche.

Passano pochi giorni e l’Unione Sarda lancia la notizia avanzando l’ipotesi che la grotta possa essere un “cimitero dell’Anonima sequestri”. L’ipotesi viene rilanciata da tutti gli organi di informazione: agenzie di stampa, quotidiani locali e nazionali, siti internet (anche questo), televisioni, radio. E’ una notizia tecnicamente perfetta.

Una notizia infatti – e questa è la prima cosa da far sapere agli studenti di giornalismo (e ai lettori) – può essere tecnicamente perfetta senza essere vera. E’ sufficiente che non sia smentibile, che cioè sia verosimile, e che risponda pienamente ai criteri di notiziabilità. Quella delle ossa nella grotta commuove (primo indice di notiziabilità), potenzialmente riguarda persone note, gli ostaggi mai tornati a casa (secondo indice); attiene a imprese non ordinarie, i sequestri (terzo indice).

L’incontro tra una notizia non verificata (e non ancora verificabile al momento della diffusione) e tre dei più classici criteri di notiziabilità ne determina la diffusione repentina e virale. Un meccanismo praticamente inarrestabile. Che a volte produce danni gravi. Anche in questo caso è successo perché ha suscitato nei parenti degli ostaggi mai rientrati la speranza (molto probabilmente falsa) di poter avere finalmente una tomba su cui piangere.

Ma questo meccanismo si sarebbe messo in moto se la grotta si fosse trovata anziché sul Supramonte di Orgosolo sui colli della Marmila? Ecco la seconda considerazione da sottoporre agli studenti di giornalismo e da condividere con i lettori. La risposta è che molto difficilmente sarebbe accaduto. Perché sarebbe mancato – nella totale assenza di elementi oggettivi – l’unico apparente riscontro. Quello che deriva dallo stereotipo Orgosolo=banditismo.

Se la grotta non si fosse trovata nelle campagne del paese di Liandru, Tandeddu e Mesina l’ipotesi “cimitero degli ostaggi” non sarebbe stata avanzata. E quel foro sul teschio non sarebbe stato attribuito, quasi in automatico, a una pallottola. Ci possono essere molte altre ragioni per cui un teschio presenta un foro. Si trovavano teschi “bucati” anche prima della scoperta delle armi da fuoco. E ci si sarebbe concentrati subito sugli elementi oggettivi, sull’impossibilità di dare una datazione, sull’assenza di resti di vestiti, che già da sola fa pensare che i reperti risalgano a un periodo di molto precedente agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso: forse sono là dal secolo ancora precedente. Forse da centinaia d’anni.

Ma se anche risalissero a mille anni prima di Cristo, quelle povere ossa certamente potrebbero raccontare di pregiudizi e di stereotipi. Perché non c’è stato momento della storia che non abbia avuto i suoi. L’informazione dovrebbe infatti servire a combatterli. Ma non sempre ci riesce. E quando accade bisogna riconoscerlo.

G.M.B.

 

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