Il Movimento 5 Stelle farà nascere il Partito democratico?

Il Movimento 5 Stelle si è trovato bruscamente, di certo prima di quando aveva immaginato, davanti a un “problema di crescita”. Una specie di passaggio, in chiave politica, dall’adolescenza alla maturità. Dalla pura denuncia all’assunzione di responsabilità. E’ successo perché i vertici del Partito democratico hanno improvvisamente, quasi bruscamente, aperto le porte alla società civile.

Sarebbe azzardato dire che se l’avessero fatto prima (perché era proprio questa l’ispirazione originaria del Partito democratico) il Movimento 5 Stelle non sarebbe nato. Ma è ragionevole ipotizzare che non avrebbe avuto lo strepitoso successo che ha sconvolto – fino a ora in modo salutare – la vita politica italiana.

A leggere il dibattito in corso sul blog di Beppe Grillo è possibile distinguere in modo nitido due posizioni. Quella di chi difende la ‘purezza’del movimento, respinge qualunque possibilità di accordo col Pd meno l, come lo chiamano, e quella di chi chiede, con un certo sgomento, come sia possibile non gioire per il fatto di aver obbligato il Pd a fare scelte che, in assenza del Movimento 5 Stelle, mai sarebbero state fatte.

Perché è del tutto evidente che se le cose fossero andate come i vertici del Partito democratico ipotizzavano quando – a campagna elettorale in corso – disegnavano il futuro governo (fino ai posti di sottosegretario) oggi alla presidenza del Senato avremmo due rispettabili politici di lungo o lunghissimo corso: Dario Franceschini alla Camera e Anna Finocchiaro al Senato.

La verità è banale. Esiste un pezzo del partito democratico dentro il Movimento 5 stelle. Abbiamo scritto volutamente partito democratico minuscolo. Perché non intendiamo riferirci all’organizzazione così come si è sviluppata e così come è oggi, ma a quella che sarebbe stata se l’ispirazione originaria di Romano Prodi non fosse stata sostanzialmente tradita.

Esiste nel Movimento 5 stelle e nel suo elettorato una componente molto vasta che ha gioito per l’elezione di Laura Boldrini e di Pietro Grasso. Che oggi vorrebbe cominciare a cambiare le cose. E, d’altra parte, esiste nel Partito democratico una componente molto vasta che spera che la pressione del Movimento 5 Stelle agevoli dall’esterno quel processo che dall’interno è sempre stato ostacolato dalle nomenklature degli ex Ds e degli ex Margherita, coadiuvate da una nuova classe di giovani-vecchi funzionari.

Se Pier Luigi Bersani nella notte tra il 15 e il 16 marzo ha deciso di candidare Laura Boldrini e Pietro Grasso è stato perché ha tardivamente raggiunto la consapevolezza del fatto che le elezioni sono state alla fine vinte per un soffio perché centinaia di migliaia di elettori hanno fatto per l’ultima volta lo sforzo di turarsi il naso. Per l’ultima volta. Se non fosse successo, oggi altro che Bodrini e Grasso! Saremmo qua a ragionare sulla possibilità dell’elezione di Silvio Berlusconi alla presidenza della Repubblica.

C’è una sola possibilità per il Pd di restare in vita, superare questa fase e proporsi come il motore del cambiamento. Andare avanti, senza cedimenti, nel percorso inaugurato con l’elezione dei presidenti della Camera e del Senato. E c’è una sola possibilità per il Movimento 5 stelle di entrare nella storia del Paese come il motore di una vera rivoluzione civile: cominciare a considerare che i suoi interlocutori non sono i vertici dei partiti ma gli elettori. Che poi è esattamente quanto già hanno fatto i senatori siciliani ‘eretici’ quando hanno votato Pietro Grasso.

Le elezioni regionali sarde, fissate tra meno di un anno, saranno un test importante, di valore nazionale, per verificare le capacità dei democratici, e in generale del centrosinistra, di affrontare questa nuova, anzi nuovissima, fase politica. A partire dalla scelta del candidato governatore. Se i criteri saranno quelli che hanno ispirato Pier Luigi Bersani durante la notte tra il 15 e il 16 marzo forse davvero inizierà una fase nuova.

Giovanni Maria Bellu

 

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