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Il Lirico, il mojito di Massimo Zedda e i veleni della politica

La notizia, ridotta all’osso, è questa: “la Regione ha dimezzato i fondi e si protesta davanti al Comune”. Sembra l’incipit di un racconto surreale alla Achille Campanile, invece è accaduto ieri. La Regione è quella sarda, il comune è quello di Cagliari, e i fondi sono quelli destinati all’Ente lirico.

Non è che le cronache odierne dei quotidiani locali siano di grande aiuto per capire cosa sia accaduto, cioè come mai si attribuisca la decisione di un soggetto istituzionale alla responsabilità di un altro. Ma chiariscono benissimo che il bersaglio politico della manifestazione sindacale era il sindaco di Cagliari Massimo Zedda e, di conseguenza, la sovrintendente dell’Ente Lirico Marcella Crivellenti, che Zedda ha nominato.

Il sindaco è stato sbeffeggiato: paragonato a Pinocchio dai manifestanti che, per chiarire ancora meglio, si erano piazzati sul naso delle prolunghe coniche. Infatti gridavano ritmicamente il nome del burattino di Collodi alternandolo (secondo la Nuova Sardegna, che ha svolto una cronaca dai toni epici) con la parola “mojito”.

Che c’entra il cocktail cubano a base di rum e hierba buena con l’ente Lirico di Cagliari? Abbiamo consultato degli esperti del gossip cagliaritano e abbiamo appreso che Massimo Zedda sarebbe ghiotto del mojito. Quindi il senso del combinato disposto dei due appellativi – Pinocchio e mojito – può essere riassunto nella locuzione “bugiardo ubriacone”.

Che nelle manifestazioni di protesta si usino toni alti e a volte invettive è nell’ordine delle cose. Nel caso del Lirico, nella fase iniziale si era persino arrivati a fare del pesante sarcasmo sulla maternità della sovrintendente. Ma la manifestazione che si è svolta ieri davanti al palazzo comunale di Cagliari ha una particolarità: tra gli esponenti sindacali che insultavano l’esponente di Sinistra e libertà Massimo Zedda c’erano anche sindacalisti dell’area del centrosinistra e in particolare della Cgil. Non che sia vietato, ma quando accade (non la protesta: l’insulto) significa che davvero il livello dello scontro è diventato altissimo. E che alla base ci sono ragioni molto gravi che obbligano le forze politiche a interrogarsi sulle cause del conflitto. Per accertare, in questo caso, se Massimo Zedda sia diventato un nemico dei lavoratori (e Sel dovrebbe richiamarlo all’ordine) o se invece a sbagliare e a esagerare siano i sindacalisti. E in tal caso perché.

Se questo chiarimento non avviene, si alimentano i sospetti. E le ‘voci’ che – come dimostra l’utilizzo del termine ‘mojito’ addirittura in una cronaca giornalistica – a un certo punto diventano quasi ‘oggettive’. Non c’è nemmeno bisogno di spiegarli. Si forma così il senso comune attorno a una vicenda. Non se ne discute più, ma si inveisce tra fazioni. Le voci anche totalmente infondate corrono – uno di queste parlava di una amicizia della Crivellenti con Nichi Vendola il quale, giunto qualche mese fa a Cagliari, si è fatto ripetere due volte il nome della sovrintendente perché mai l’aveva sentito prima – e le smentite vengono ignorate. Un po’ come nelle nostre faide paesane che vanno avanti per decenni anche quando si è persa la memoria del fatto che le ha innescate.

Sempre dalla cronaca della Nuova Sardegna apprendiamo che alla manifestazione davanti al comune di Cagliari ha partecipato la segretaria regionale della Uil Francesca Ticca, la quale ha dichiarato: “È una situazione incomprensibile”. E se lo dice uno dei massimi esponenti del sindacalismo isolano c’è da crederci. Solo che, lo diciamo alla dirigente della Uil col massimo del rispetto e dell’umana solidarietà, spetterebbe anche a lei renderla comprensibile all’opinione pubblica.

Cosa succede dunque? siccome la storia è lunga e complicata, e ci vorrebbe un libro per ricostruirla per intero,concentriamoci solo sull’ultima fase della vicenda. Una fase innescata da un episodio molto curioso: l’alleanza tra la rappresentanza sindacale e uno dei consiglieri d’amministrazione, Gualtiero Cualbu, che è nel cda per nomina della Regione (cioè dell’ente che ha dimezzato i fondi).

Cualbu (e la Rsu) hanno chiesto a Zedda (e alla Crivellenti) la convocazione del consiglio d’amministrazione. E hanno contestata la mancata presentazione del piano industriale, attribuendo a questo inadempimento il taglio dei fondi. Zedda, come al solito, è stato zitto (un atteggiamento distaccato e signorile che forse in certi casi non è il più opportuno) e ha risposto la Crivellenti. Che ha detto una cosa semplice: quel ‘piano industriale’ era scaduto quattro mesi prima del suo arrivo e comunque la decorrenza del termine non può determinare, in base alla legge, il taglio dei fondi.

Non è un piccolo argomento. Tra l’altro ha il vantaggio di essere, questo sì, ‘oggettivo’: c’è una legge, ci sono degli adempimenti, ci sono delle scadenze. Tutto verificabile. La Crivellenti dice che tutti gli adempimenti non ancora scaduti al momento del suo arrivo sono stati fatti. E, quanto al piano industriale, afferma che è in via di elaborazione. Con una tempestività sorprendente per la burocrazia regionale, immediata è giunta la replica del direttore generale dell’assessorato competente. Toni insolitamente duri, quasi politici, anche una gaffe (l’alto burocrate dice di non aver mai avuto il piacere di incontrare la Sovrintendente, dimenticando che era in maternità), ma il succo è la conferma che il termine per la presentazione del piano industriale non è ‘perentorio’. Quindi non c’è alcuna relazione tecnica con la decisione del dimezzamento dei fondi.

Decisione che, d’altra pare, il governatore Ugo Cappellacci aveva minacciato fin dallo scorso 5 febbraio, ma per motivi del tutto diversi dalla mancata presentazione del piano industriale. L’aveva fatto con una lettera all’allora ministro Lorenzo Ornaghi dedicata alla questione della nomina della nuova sovrintendente. Che, un mese dopo, il ministero aveva dichiarato regolare e legittima.

Ma l’aspetto più curioso, e per certi aspetti paradossale, è che il più severo censore della mancata presentazione del piano industriale è Gualtiero Cualbu il quale non aprì bocca quando (quattro mesi prima dell’arrivo della Crivellenti) il termine di legge decorse.

In fondo, a esaminare i fatti uno per uno, la situazione diventa abbastanza comprensibile (lo segnaliamo alla dottoressa Ticca). E porta l’intera vicenda nell’ambito di una battaglia politica che vede una rappresentanza sindacale che chiede di cogestire la nomina dei manager alleata col centrodestra, i partiti del centrosinistra (compresa Sel), totalmente muti, il sindacato in stato confusionale e un sistema dell’informazione che non spiega ma che amplifica gli insulti. Vien proprio voglia di bere un bel mojito per tirarsi su.

G.M.B.

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