Il futuro politico sardo “appeso” a due sentenze

Sono due le date che decideranno gli sviluppi politici in Sardegna. Una riguarda il centrosinistra, l’altra il centrodestra. Il 20 novembre ci sarà il primo verdetto dell’indagine sui fondi ai gruppi consiliari, quello che il tribunale di Cagliari pronuncerà sul caso del consigliere regionale dell’Italia dei Valori Adriano Salis per il quale il pubblico ministero ha chiesto una condanna durissima: tre anni di reclusione per peculato. Pochi giorni dopo (le arringhe difensive sono state fissate per il 19) ci sarà la sentenza per il governatore Ugo Cappellacci, accusato di bancarotta fraudolenta nel processo sul crac della Sept, la municipalizzata di Carloforte. Anche qua, per un curiosa coincidenza giudiziaria, la pubblica accusa ha sollecitato una condanna a tre anni di carcere.

Adriano Salis viene processato “da solo” – e non assieme agli altri ventidue consiglieri del gruppo misto coinvolti nella prima tranche dell’inchiesta – perché ha chiesto il rito abbreviato. Ma il suo caso è considerato come un “modello”. In sostanza, la sentenza su Salis dal punto di vista tecnico riguarderà il solo consigliere dell’Italia dei Valori, ma darà indicazioni sull’orientamento della magistratura giudicante in relazione all’intera vicenda.

Il problema che tormenta i consiglieri regionali indagati e i loro difensori è, infatti, capire se per i giudici il peculato si configuri nello stesso meccanismo di distribuzione dei fondi o se, invece, il reato si configuri in presenza di una loro destinazione impropria. E, in tal caso, chiarire qual è la cornice oltre la quale si è nell’uso illecito.

Le Montblanc e i libri costosi acquistati da Mario Diana, il matrimonio a spese pubbliche di Carlo Sanjust possono dare dell’inchiesta sui fondi ai gruppi una idea non corretta. Non è questa, infatti, la situazione “media” degli indagati. Né per l’entità delle somme, né per il modo in cui sono state spese. Nel caso di Diana e Sanjust il peculato (ovviamente se i fatti saranno provati) è evidente. Ma ci sono numerosissime situazioni nelle quali i consiglieri hanno speso le somme in modo ordinato per l’attività politica. Ecco, questo – a seconda dell’interpretazione che daranno i giudici – potrebbe non essere sufficiente a escludere il rinvio a giudizio. Insomma, anche l’organizzazione di un dibattito o di un convegno (effettivamente svolti e con costi ragionevoli) potrebbe essere inquadrata nel peculato se, per esempio, si ritenesse che quell’attività non era inequivocabilmente riferita all’attività del gruppo consiliare. Una questione complicata, come si vede. La sentenza-Salis servirà a capire entro quale cornice la magistratura giudicante colloca il reato.

Fino a quel momento – a meno che non si verifichino fatti nuovi e traumatici – il Partito democratico non prenderà alcuna decisione attorno alla candidatura di Francesca Barracciu e all’opportunità o meno di tenerla ferma, come peraltro ha già deciso il Partito democratico. La diretta interessata e i principali dirigenti del Pd non hanno dubbi sulla correttezza sostanziale del comportamento, per cui la candidatura non può essere messa in discussione. Ma se dalla sentenza-Salis emergesse che per la magistratura era illecito il meccanismo generale, il rischio di un rinvio a giudizio o peggio di una condanna potrebbe rendere obbligatorio un ripensamento. Perché in tal caso la nuova legislatura rischierebbe di saltare anticipatamente. Il ritiro della candidatura, a quel punto, verrebbe presentato come un estremo atto di responsabilità. Non come un’ammissione di colpa.

Il caso di Cappellacci è più semplice. Se dovesse arrivare una condanna in primo grado, il governatore dovrebbe condurre una campagna elettorale portandosi sulle spalle questo peso enorme e imbarazzante. E rischierebbe, in caso di rielezione, di saltare a legislatura in corso. La “ritirata” sarebbe quasi inevitabile. Anche per un’altra considerazione di opportunità politica. Nel centrodestra infatti si ritiene che se Cappellacci uscisse di scena (sostituito, per esempio, da Emilio Floris) Mauro Pili col suo Unidos potrebbe rientrare nella coalizione.

In definitiva, entro la fine del mese la partita politica per le Regionali prenderà una forma o un’altra in relazione alle decisioni della magistratura. Questi sono i giorni dell’attesa e del silenzio. Giorni nei quali le forze politiche tradizionali analizzano, con apprensione crescente, i sondaggi. Raccontano un’opinione pubblica sempre più indignata ed esasperata. Significativo, da questo punto di vista, il dato che emerge dall’Osservatorio politico dell’SWG dello scorso 30 ottobre. Alla domanda se la via per cambiare le cose siano “le riforme” o “la rivoluzione”, nel giugno del 2011 il 56 per cento degli elettori era per la prima ipotesi e il 28 per cento per la seconda (il 16 per cento non rispondeva). Ora il dato si è ribaltato: i “rivoluzionari” sono la maggioranza, il 48 per cento, e i “riformisti” il 43 per cento. Non è, insomma, il momento più favorevole per proporre agli elettori distinzioni troppo sottili e complesse.

G.M.B.

 

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