Gli incivili della monnezza sono penosi. Ma Zedda e Truzzu hanno molte colpe

Diciamolo una volta per tutte, e a voce alta: chi butta la spazzatura in strada – come sta succedendo a Cagliari – è un incivile. Un pessimo cittadino. Una brutta persona. Perché sporcare fuori da casa propria non rientra nel novero dei diritti. Ma la politica – intendendo la Giunta di Massimo Zedda prima e quella di Paolo Truzzu adesso – non è esente colpe. Anzi.

Parliamo di rifiuti nel capoluogo sardo perché la situazione sta diventando preoccupante: non c’è quartiere senza cumuli di buste. A bordo strada, sui marciapiedi, nelle aiuole o in qualche giardinetto. Uno spettacolo indegno e sottovalutato, la cui portata si riesce a cogliere solo mettendo insieme, come in un blob, le immagini delle tante piccole emergenze. Da nord a sud della città. Periferie comprese.

L’analisi della situazione fa emergere intanto un primo grande errore, contenuto nell’appalto approvato dalla Giunta Zedda a febbraio 2016, aggiudicato a marzo 2017 e sempre sotto il controllo dell’allora assessora Claudia Medda. La quale ha dimostrato assoluta incapacità organizzativa e nessuna lungimiranza. È infatti successo che sulle 15mila utenze morose di Cagliari – vuol dire almeno 30mila persone – si è ragionato in maniera infantile. Più o meno così: Se tu non paghi, io non ti considero. E in alcuni casi nemmeno ti consegno i mastelli.

Ci rendiamo conto? Quindicimila utenze – sulle 86mila totali – significano quasi un quinto della popolazione. Un 17,4 per cento che continua a produrre rifiuti se anche il Comune non se ne occupa, dimenticando a sua volta che in ballo ci sono la salute pubblica e l’ambiente, non la propensione alla siesta durante la domenica pomeriggio.

I cumuli di spazzatura in strada, infatti, non piovono dal cielo. Non vengono portati dagli alieni in piena notte. Quella monnezza è buttata da chi a casa non ha nemmeno i mastelli perché è un moroso totale. Un’utenza inesistente. Oppure ha ricevuto la bigoncia di plastica, ma non la usa per evitare di essere censito. In alcuni casi parliamo di indigenti, comunque non autorizzati a sporcare la città. Ma nella maggioranza si tratta di furbi. Di incivili a cui non frega niente del senso comune. E verso i quali la politica dichiara la resa.

In un Paese ‘normale’, chi amministra ha il dovere di interrogarsi su un problema di questo tipo. E sa che è chiamato a trovare soluzioni. Altrimenti c’è il piano B (consigliato): si solleva la manina, si convoca una conferenza stampa e serenamente si dice di non essere in grado di dare risposte adeguate all’organizzazione di un sistema complesso come la gestione dei rifiuti. Arrivederci e grazie. Avanti un altro. O un’altra.

A Cagliari l’assessorato della Medda ha fatto lo gnorri. Ha finto che i morosi non rappresentassero un problema, o lo fossero in misura ridotta, perché tanto c’erano i vecchi cassonetti nel centro storico, ultima zona della città dove è partito il porta a porta. Ma una volta che l’ultimo sfogatioio della monnezza è stato chiuso, ecco esploso il caos rifiuti.

È una questione di onestà intellettuale. L’emergenza della spazzatura nel capoluogo sardo poggia sui morosi e su di loro bisogna investire tempo e risorse, diversamente non se ne esce. Un approccio, questo, su cui pure Paolo Truzzu dovrebbe riflettere. L’attuale sindaco, durante la campagna elettorale del 2019, ha ugualmente mancato di correttezza. Ha promesso di modificare l’appalto, ben sapendo che questo è possibile solo pagando di più. Cioè aumentando la già carissima Tari, un servizio che costa 215 milioni di euro (più Iva) in sette anni.

Tuttavia a Truzzu bisogna ricordare che il sindaco è lui. E spetta alla sua maggioranza, cominciando dall’assessore Alessandro Guarracino, trovare una soluzione. Che per diventare realmente efficace non può essere limitata alle multe sporadiche. O ai post su Facebook nei quali si spara a zero contro l’incivile di turno, ‘cassato’ e sanzionato. La politica è cosa nobile. È soluzione. È ri-organizzazione. A meno di non volere una città sporca. Ma se è così, bisogna avere il coraggio di dirlo. Altrimenti c’è il piano B di cui sopra. Alzando la manina.

Alessandra Carta

 

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