Scuole private: bene assessore ma passiamo dalle parole ai fatti

“Ritengo sia urgente avviare una riflessione sulla revisione dei criteri di assegnazione dei contributi, per sanare alcune piccole distorsioni”. Così l’assessore regionale alla Pubblica istruzione Claudia Firino (leggi). I contributi (18 milioni di euro) sono quelli erogati dalla Regione alle scuole dell’infanzia private (leggi), le piccole distorsioni, invece, dovrebbero essere quelle che hanno portato – è solo un esempio – 145mila euro nelle casse di un istituto, che però offre i propri servizi dietro lauti pagamenti: oltre 5mila euro l’anno ad alunno.

È un fatto senz’altro positivo – e sarebbe stato ancor più positivo se il proposito fosse stato dichiarato contestualmente alla decisione di erogare quei 18 milioni – che l’assessore Firino riconosca che quei criteri sono da rivedere. Magari, pure quello per cui gli enti religiosi senza riconoscimento civile accedono ai finanziamenti presentando, in ordine alla posizione giuridica, l’”attestato dell’Ordinario diocesano dal quale risulti l’esistenza dell’ente ed il suo rappresentante legale”. Chissà perché l’assessore – in una nota ufficiale –  ha definito “teoria fantasiosa” il fatto che noi abbiamo riassunto questa procedura scrivendo che bastano “quattro righe del vescovo”. Chiamiamole pure “attestato”, ma di questo si tratta: una dichiarazione del vescovo (di qualunque numero di righe sia composta), come risulta, nero su bianco, dagli allegati alla delibera firmata da Ugo Cappellacci sulla base della quale sono stati assegnati i contributi 2014 (pagina 6).

Ma è vero: l’assessore si è ritrovata davanti a trent’anni di laissez-faire. Perché correva l’anno 1984 quando l’allora presidente della Regione Angelo Rojch firmò la legge che garantiva denari a palate alle scuole dell’infanzia. Ma lo stesso Rojch – pezzo da novanta della Dc isolana, mica un barricadero falce e martello – da subito tenne a chiarire che quel provvedimento aveva carattere ‘straordinario’ e quindi contingente. Talmente straordinario che ancora lo si applica senza colpo ferire a distanza di trent’anni. Tutto questo, semplicemente perché nessuno ha avuto la volontà politica di chiudere i rubinetti e privilegiare il pubblico rispetto all’impresa privata.

E ora? Siamo certi che la giunta intende sorpassare questa ‘contingenza’ – magari gradualmente – e non perpetuare l’andazzo della Regione senza soldi che paga stipendi e affitti a imprese private, ma nel frattempo taglia senza pietà altrove. Per esempio i fondi alle 45 scuole civiche di musica della Sardegna. È un problema di equità. L’assessore, nella sua nota, tiene a sottolineare che le scuole paritarie sono “spesso un presidio del territorio, soprattutto laddove lo Stato non è in grado di adempiere agli obblighi costituzionali”. Ecco, si tratta infatti di fare in modo che a quegli obblighi si adempia. E un buon esempio è puntare anche nelle diramazioni periferiche dello Stato, come le Regioni, affinché si usi il denaro pubblico per la cosa pubblica. La Res publica, cioè tutti noi.

Pablo Sole

sole@sardiniapost.it

 

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