Lo schiaffo dei sindacati al “governatore rivoluzionario”

Il primo vero sole di giugno porta male a Ugo Cappellacci nella versione di Masaniello sardo: finisce sotto il tiro dei sindacati.

Il primo vero sole di giugno porta male a Ugo Cappellacci nella versione di Masaniello sardo: finisce sotto il tiro dei sindacati. E sono bordate che fanno male, quelle servite al governatore da Cgil, Cisl e Uil. La contesa ruota intorno all’invito a sventolare la bandiera dei Quattro Mori davanti Montecitorio, il 24 giugno, in nome della Zona franca integrale. L’effetto, però, è solo uno: il re di Villa Devoto rimane nudo. I confederali non lo seguiranno, non fosse altro che «non abbiamo ancora capito di cosa stia parlando il presidente, sul tema non siamo mai stati chiamati a un confronto».

LA LETTERA. Eppure, quell’appello alla rivolta, scritto da Cappellacci «con viva cordialità», vale un manifesto di governo. Il numero uno della Giunta ha messo nero su bianco quattro anni e mezzo di battaglie, quasi tutte perse, perché «lo Stato continua a negare alla Sardegna le precondizioni dello sviluppo». In una parola: i soldi. E sono dieci miliardi di euro solo i denari della Vertenza entrate, ma poi il governatore ricorda il «mancato riconoscimento dell’insularità» e la «continuità territoriale, marittima e aerea», insomma tasselli di un’Isola che affonda nella crisi.

LA CGIL. Michele Carrus, fresco leader del sindacato rosso, picchia duro: «Se davvero il presidente vuole fare qualcosa per la Sardegna, pensi, per esempio, ai 4mila padri di famiglia che dal 2012 attendono il rinnovo della cassaintegrazione in deroga». Carrus non ci gira intorno: «La richiesta della Zona franca è pura demagogia, un concentrato di faciloneria e superficialità. Se ai cittadini si regala la promessa di non pagare più le tasse, è impossibile trovare voci contro».

LA LEGISLATURA. In compenso, Cappellacci in versione guevarista raccoglie qualcosina su Facebook: 119 “mi piace” e 139 condivisioni, dopo il “no” dei confederali alla mobilitazione. Non solo: è da due anni, a corrente alternata, che il governatore prende le distanze da Silvio Berlusconi, il suo padre/padrino politico. Basti pensare che nell’aprile 2009, quando il Cavaliere spostò il G8 da La Maddalena a L’Aquila, nemmeno avvisò Cappellacci. Il quale, a sua volta, la sua massima ribellione l’ha fatta segnare con Mario Monti premier: da Villa Devoto partì l’invito a tempestare di mail l’indirizzo centromessaggi@palazzochigi.it, al grido di “Procura de moderare”, avvertimento sardo contro le tirannie. Il Professore aveva chiuso i cordoni della borsa, tanto che in Giunta decisero il ricorso alla Corte Costituzionale per spingere Roma a sganciare i quattrini. Un mese fa la Consulta ha risposto picche.

LA UIL. La trasformazione di Cappellacci non intenerisce Francesca Ticca, segretario regionale della Uil: «Sulla Zona franca sarebbe meglio aprire un confronto serio in Sardegna, serve mettere sul piatto i pro e i contro, non abbiamo bisogno di altre fregature». Ora: con le elezioni alle porte, è difficile che Cappellacci torni a stracciare la tessera Pdl, come già aveva fatto nell’estate di due anni fa, visto che «il governo Berlusconi umilia la Sardegna», disse. Sono storia di marzo 2013 le rasoiate di Cappellacci verso «lo Stato sordo»: pure quella volta il governatore ha osato parecchio, invitando «le Regioni ad alzare il livello di scontro istituzionale».

LA CISL. Sulla Zona franca la più possibilista è Oriana Putzolu, la prima donna segretario nel sindacato cattolico: «Noi crediamo che la defiscalizzazione sia una strada percorribile per rilanciare lo sviluppo. Ma la Regione deve discuterne con le parti sociali». Del resto, i confederali non hanno mai pensato di porgere l’altra guancia alla giunta Cappellacci. Anzi: in cinquantadue mesi hanno montato quattro scioperi generali, otto provinciali più quattordici manifestazioni in piazza. Nessuna lacrima di commozione nemmeno a maggio di quest’anno, quando Cappellacci, seduto accanto a Enrico Letta, ha ricordato «le prese in giro dello Stato». Durezza vana. I sindacati vogliono tavoli di confronto, non poltrone in aereo.

Alessandra Carta

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