L’addio della manager fa saltare tutto: Insar chiude, 16 buste paga da salvare

L’addio di Paola Piras, amministratrice delegata di Insar per quasi due anni, fa saltare tutto nella spa partecipata dalla Regione e che si occupa di politiche per il lavoro. La manager si è dimessa lo scorso 16 maggio limitandosi a varare solo un progetto di bilancio che non è mai stato approvato dall’assemblea dei soci e quindi risulta privo di validità ai fini fiscali e civilistici. Passato un mese e mezzo, è chiaro che la mossa della Piras ha segnato il definitivo affondamento della società e spinto il centrodestra a deciderne la chiusura. Da una settimana Insar è infatti nelle mani di un liquidatore, il commercialista Carlo Iadevaia. Il professionista l’ha indicato Forza Italia, il partito che con Alessandra Zedda guida l’assessorato al Lavoro, cui spetta tra le altre cose la super visione di Insar. Compresa la salvezza delle sedici buste paga che si contano nella società.

Erano anni che la spa viaggiava in cattive acque. Prima la censura del Consiglio regionale sulle troppe consulenze, tanto che la Corte dei conti due anni fa ha mandato la Guardia di finanza per recuperare contratti e faldoni vari (leggi qui); poi la chiusura dell’ultimo bilancio approvato, quello del 2017, con una perdita di un milione e 423mila euro. I numeri sono in gran parte relativi alla gestione di Antonello Melis, fedelissimo di Ugo Cappellacci e predecessore della Piras. Ma il documento contabile ha materialmente incassato il via libera sotto la guida della Piras, il 22 giugno del 2018. Come raccontato lo scorso 6 giugno da Sardinia Post, l’Ad dimissionaria ebbe un duro scontro con Roberto Musella, l’avvocato che durante quella assemblea dei soci rappresentava l’Anpal Servizi, ovvero l’azionista di minoranza che in Insar detiene il 44,61 per cento di quote contro il 55,39 della Regione (leggi qui).

Proprio il 22 giugno di un anno fa Anpal Servizi rilevò, analizzando il conto economico, che Insar aveva ridotto il volume della produzione del 60 per cento. Per questa ragione a Insar, nel tentativo di agganciare la salvezza, era stata affidata la gestione di una parte del pacchetto LavoRas, pari a 45 milioni. Invece le pratiche sono rimaste bloccate sino al 28 maggio scorso. Come accertato ancora dal nostro giornale, sino a quella data non risultava finanziato nemmeno uno dei 582 progetti presentati dai Comuni sardi per sostenere l’occupazione con contratti da otto mesi. Solo dopo le dimissioni della manager qualcosa si è mosso. Ma sempre per un piccolo numero di interventi proposti dagli enti locali. E comunque al limite con l’ordinaria amministrazione a cui si devono limitare i componenti del Cda rimasti in carica, in caso di dimissioni da parte di altri consiglieri, come previsto dallo statuto sociale di Insar. Nello specifico in due affiancavano la Piras: Luca Spissu e Romano Benini. L’uno dipendente dell’Agenzia regionale Aspal, collaboratore dell’ex governatore Francesco Pigliaru nell’Ufficio di gabinetto, nominato nel Cda Insar dalla Regione e ugualmente dimissionario due settimane dopo l’Ad; l’altro indicato da Anpal Servizi.

Fatto sta che l’uscita di scena della Piras ha ancora di più convinto Anpal Servizi a mollare la presa. Di qui la decisione del presidente Christian Solinas e della Giunta di non aspettare altro tempo. La nuova maggioranza al governo della Regione ha così accelerato sulla messa in liquidazione della spa, ciò che varrà come una sorta di ‘ora della verità’ sulle gestioni Insar, perché tutto andrà messo sotto la lente. Anche per individuare eventuali punti oscuri. Insomma una situazione delicatissima e tale da da far ipotizzare che Anpal Servizi non abbia alcuna intenzione di fare l’agnello sacrificale votando il progetto di bilancio lasciato in eredità dalla Piras. La quale, in una lettera a Sardinia Post, si era appellata alla “continuità aziendale” per difendere il proprio operato. Una continuità che è totalmente venuta meno con le sue stesse dimissioni.

È evidente che adesso all’Insar la priorità sia diventa un’altra: vanno salvate le quindici buste paga dei dipendenti che formano la pianta organica della società. Di questo dovrà occuparsi prima di tutto la Zedda prevedendo un piano di riconversione del lavoro.

Il modello applicato non potrà essere però quello del Bic, l’ex società pubblica nata nell’89 per sostenere la creazione di imprese e lo sviluppo locale e messa in liquidazione a giugno del 2016. I dipendenti sono stati assorbiti dalla finanziaria Sfirs, che per tipologia societaria è la più vicina alla spa chiusa. Ma il ‘travaso’ di personale è avvenuto senza seguire né le competenze né le professionalità, generando di fatto pesanti sacche di sottoutilizzazione di professionisti esperti.

Insar è anche nelle agende dei sindacati, a cui gli stessi dipendenti scrissero una lettera lo scorso novembre, quando sotto la gestione Piras emersero i primi segnali sul possibile smantellamento della spa (leggi qui). Un’operazione che sembrava potersi concretizzare col cambio unilaterale dei contratti, un assaggio di chiusura che la manager dimissionaria aveva già messo in pratica anche alla Fiera di Cagliari, di cui la Piras è stata la commissaria straordinaria e in virtù dell’incarico, sempre su nomina del centrosinistra, consegnò l’Ente nelle mani di un liquidatore. Alla Fiera, peraltro, la crisi del lavoro non è finita. Ma questa è ancora un’altra storia, certamente diversa dall’Insar anche se il copione non cambia mai: a pagarne le spese sono sempre i dipendenti, non i manager scelti dalla politica.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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