Dalla padella alla brace, l’Insar affonda: la manager si dimette, società nel caos

L’amministratrice delegata ha abbandonato la barca. In fretta e furia. E senza dire nulla in giro. La manager scappata via è Paola Piras, scelta nell’agosto di due anni dall’allora governatore Francesco Pigliaru per salvare l’Insar, la società pubblico-privata partecipata al 55,39 per cento dalla Regione. La Piras aveva una missione nella spa che si occupa di politiche per il lavoro: far dimenticare la gestione di Antonello Melis, il precedente Ad, quota Forza Italia, che nel solo 2015 aveva firmato consulenze per un milione e 200mila euro. Da allora non solo la spa continua a navigare in pessime acque, ma adesso rischia di finire in liquidazione. In ballo ci sono una quindicina di buste paga e molti nodi da sciogliere. Tutti gravissimi. L’ultimo bilancio approvato è datato 2017 ed è stato chiuso con un milione e 400mila euro di perdite.

La Piras, tornata al suo lavoro di professoressa ordinaria all’università di Cagliari, se n’è andata il 16 maggio scorso. Agli uffici di via Mameli 228, nel capoluogo sardo, non sono arrivate comunicazioni ufficiali. I dipendenti lo hanno capito perché non l’hanno più vista. E poi, si sa, radio tam tam fa sempre il resto. Sta di fatto che il 4 giugno è fissata l’assemblea straordinaria. All’ordine del giorno la peggiore delle soluzioni, appunto: la discussione sulla messa in liquidazione della società che, tra le altre cose, deve gestire il pacchetto LavoRas, ovvero il maxi intervento a sostegno dell’occupazione contenuto nella Finanziaria 2019, l’ultima approvata dal centrosinistra. Valore: 128 milioni di euro.

Con l’addio della Piras, nel Cda dell’Insar sono rimasti in due: Luca Spissu e Romano Benini. L’uno entrato in quota Regione, l’altro nominato dall’Anpal Servizi, il braccio operativo dell’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, socio di minoranza col 44,61 per cento di quote. In via Mameli da cinque mesi sono senza linea telefonica. Col riscaldamento non è andata meglio: tutto bloccato a gennaio e febbraio. Nel libro ormai nero della gestione si contano svariate assenze per stress da lavoro. Tesissimi anche i rapporti con alcuni fornitori: stanno fioccando i decreti ingiuntivi per il pagamento di beni e servizi. Ovvero fatture non ancora saldate.

I dipendenti di Insar non sono rimasti a guardare. All’inizio dell’anno hanno firmato una lettera indirizzata ai vertici Insar e a mezza Regione. Da Benini, che presiede il Cda, al collegio sindacale passando per gli assessorati al Lavoro e agli Affari generali, allora gestiti rispettivamente dai dem Virginia Mura e Filippo Spanu. La missiva è arrivata, sempre in posta certificata, anche alla sede romana dell’Anpal nonché ai sindacati confederali.

La presa di posizione dei lavoratori è seguita a una comunicazione diffusa lo scorso novembre dalla stessa Piras (ma solo adesso viene tutto a galla): la manager-giurista – nell’ateneo di Cagliari insegna Diritto amministrativo – aveva annunciato la disdetta del contratto collettivo nazionale. Un atto che, stando a quanto si legge nella lettera, è stato unilaterale, quindi senza l’apertura della contrattazione decentrata prevista per legge. Nella sua comunicazione l’Ad dimissionaria faceva riferimento all’applicazione di una nuova “tipologia congrua all’attività svolta”. Non sono stati specificati ulteriori dettagli. Di certo, il contratto attualmente applicato, quello del comparto chimico-farmaceutico, non è mai cambiato negli anni. E l’Insar è operativa dal 1982, con una missione che al momento pare scritta solo nel suggestivo slogan pubblicato sul sito istituzionale. Ovvero, “Una storia di lavoro, una storia di sviluppo”. Ciò che sembra valere molto sulla carta e pochissimo nella pratica.

Ne è prova la possibilità della messa in liquidazione. Un epilogo a cui sembra legata a doppio filo, quasi fosse un antipasto, la chiusura delle sedi di Sassari e Nuoro nei mesi scorsi. Due uffici decentrati ma assolutamente funzionali all’attività di Insar. Di fatto un effetto domino cominciato con lo smantellamento degli uffici di Oristano. “Scelte deleterie – hanno scritto a gennaio i dipendenti – e che non produrranno alcun effetto se non quello di indebolire ulteriormente la struttura impedendole di continuare a rivestire un ruolo centrale nelle politiche attive del lavoro in Sardegna”.

A quella lettera non è arrivata mai una risposta. L’unica mossa che si registra è la fuga della Piras, meno di due settimane fa. Il caso adesso deve per forza passare nelle mani di Alessandra Zedda, la neo assessora al Lavoro cui spetta anche la super visione della partecipata regionale. All’Insar si è liberata la casella dell’amministratore delegato. Un posto da 108mila euro l’anno. Soldi pubblici su cui deve vigilare di nuovo il centrodestra, non immune da errori. Tutt’altro. Ma il centrosinistra non sembra aver fatto meglio. Sul metodo applicato nella gestione di alcuni progetti, Rodolfo Contù, ex direttore generale dell’assessorato, è più volte entrato in rotta di collisione coi vertici Insar. La priorità è però diventata un’altra: ci sono quindici buste paga da salvare. Anche e soprattutto per evitare la beffa che a perdere il posto siano i dipendenti assunti per dare lavoro ai sardi, nell’Isola terra di disoccupati.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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