Fondi ai gruppi, Adriano Salis: «È peculato al contrario. Ero io a pagare la politica»

È attesa per il 20 novembre la sentenza del processo contro Adriano Salis, l’onorevole accusato di peculato e per il quale il pm Marco Cocco ha chiesto tre anni di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per un identico periodo.

L’inchiesta è quella sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale, la prima inchiesta, cominciata a maggio 2009: a Salis è stata contestata una spesa sospetta di 62.773 euro, soldi che, secondo il pubblico ministero, l’onorevole non ha utilizzato per fare attività politica. Così tra il 2005 e il 2007, quando Salis aveva già lasciato l’Idv per entrare nel Gruppo Misto. A novembre dell’anno scorso il rinvio a giudizio, oggi l’arringa della difesa, tra una settimana la sentenza, a chiudere il rito abbreviato chiesto dall’onorevole. E non appena il suo avvocato, Marco Fausto Piras, ha finito di parlare in aula, Salis ha detto: «Non sono un ladro. Semmai ho usato soldi miei per pagare l’attività politica, il mio è peculato al contrario».

QUADRO GENERALE. La sentenza sembrava dovesse arrivare oggi. Ma il gup Cristina Ornano ha deciso di aggiornare il processo al 20 novembre per le repliche del pm. Intanto, stamattina, con l’obiettivo di smontare l’accusa, il legale dell’onorevole ha portato pezze giustificative per un valore di 74mila euro, cioè 12mila in più rispetto a quanto contesta il pubblico ministero. «Mi pare – sottolinea Piras – che tutto questo dimostri la totale estraneità del mio assistito al reato contestato». Salis ha prodotto pure un secondo carteggio, nel quale ha messo insieme altre fatture, per un importo di 105mila euro.

L’AVVIO. La prima inchiesta sui fondi ai gruppi del Consiglio regionale è partita quattro anni fa dopo una denuncia per mobbing: la presentò Ornella Piredda, ex dipendente del Gruppo Misto, sostenendo di essere finita nell’angolo per aver chiesto agli onorevoli del Gruppo la rendicontazione sui fondi ricevuti per l’attività politica (2.680 euro mensile, scesi poi a 2.500 e da poco ridotti a 2.000). Insieme a Salis, il pm ha indagato altri diciannove consiglieri regionali, saliti a cinquantasei con la seconda inchiesta. L’accusa è uguale per tutti: il peculato, appunto.

LA DIFESA. Nella sua arringa, l’avvocato Piras ha ricostruito il mondo in cui Salis gestiva i i 2.680 euro che riceveva in aggiunta all’indennità da consigliere regionale. «Quei denari – dice l’onorevole – li trasferivo su un conto corrente ad hoc, aperto alla Banca di Sassari». I 74mila euro si raggiungono sommando varie voci. Intanto ci sono i rimborsi benzina, ma anche «i pranzi in ristoranti e trattorie, e non erano banchetti – dice il consigliere – ma momenti di incontro politico». Nella lista figurano poi «gli emolumenti a tre collaboratori», i quali, però, venivano pagati in nero, quindi si sono presentati in Procura per testimoniare.

DENARI AL PARTITO. Salis usava pure un secondo conto corrente, aperto stavolta all’Unicredit e cointestato con la moglie. «Da qui – spiega – versano ogni mese al partito l’intera indennità del portaborse: 3mila euro netti, sebbene io ne ricevessi 3.300 lordi, quindi di fatto ne prendevo 2.500». Salis chiarisce: «Resto dell’idea che mi stiano trattando peggio di Fiorito (ovvero, Er Batman, l’ex consigliere regionale del Lazio che ha usato impropriamente un milione di fondi pubblici e per i quali è stato condannato a tre anni e cinque mesi)». L’ex dipietrista se la prende con «la lentezza tutta italiana dei processi», perché «io sono sulla graticola da quattro anni e ho scelto il rito abbreviato proprio essere giudicato in fretta: deve arrivare quanto prima la sentenza che prova la mia innocenza. Io non ho mai pagato niente in contanti, tutto quello che ho speso è tracciato».

Alessandra Carta

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