E sulla sanità Franco Meloni ammise: “Il centrodestra ha fallito”

Intervista a Franco Meloni, il medico dei Riformatori, ex consigliere regionale ed ex direttore generale al Policlinico di Cagliari e al Brotzu.

Dubbi non ne ha, Franco Meloni. “Sulla sanità il centrodestra ha fallito”. E adesso che al governo della Regione ci sono Pd e alleati, il medico dei Riformatori, consigliere regionale dal 2009 al 2014, specializzato tre volte a Cagliari, Genova e Chicago (è esperto di Direzione ospedaliera e Igiene e tecniche di laboratorio), suggerisce una ricetta all’attuale maggioranza. “La Asl unica della Sardegna, per gestire bilanci, personale e acquisti, è la strada da imboccare se si vuole davvero ridurre la spesa senza tagliare i servizi”, dice Meloni, che è stato pure general manager al Policlinico di Cagliari (dal ’96 al 2000) e al Brotzu (dal 2000 al 2005).

Dottore, conferma che sulla sanità il centrodestra ha lasciato un’eredità pesantissima?

Dico che non abbiamo fatto nulla di significativo. Abbiamo gestito l’ordinario, decentemente, ma solo l’ordinario.

Mette il suo partito nel calderone dell’inefficienza?

Fosse stato per i Riformatori, oggi ci sarebbe un’Asl unica. E più ancora una moderna filosofia sanitaria con la presa in carico dei pazienti, dalla nascita alla morte. Un percorso nel quale gli ospedali dovrebbero servire solo per le emergenze e le acuzie. L’abbiamo messo nero su bianco in una proposta di legge mai approvata.

Cinque anni non vi sono bastati per convincere i vostri alleati?

No, a ben vedere. L’ex maggioranza in Regione non ha mai trovato l’accordo.

O forse non l’ha mai voluto trovare.

Può essere.

Quali poteri si sarebbero toccati?

Tanti: quelli della politica, quelli della burocrazia , insomma la somma di interessi che è la sanità, cioè il 50 per cento del bilancio regionale, pari a oltre 3 miliardi.

Adesso ci prova il centrosinistra. Il 20 dicembre sono stati nominati i commissari. Li conosce?

Credo che Giorgio Sorrentino e Savina Ortu a Cagliari possano fare molto bene. Così come Giuseppe Pintor a Sassari. Peccato la rinuncia di Giorgio Lenzotti, un grande professionista.

Gli altri?

Uno o due non li conosco, sugli altri meglio stendere non un velo, ma un piumone pietoso. Purtroppo il centrosinistra ha fatto il nostro stesso errore, optando per lo spoil system anziché tenere i bravi. Lo facemmo anche noi nel 2009.

Chi sarebbero “i bravi” scelti da voi cinque anni fa?

Giusto per fare un esempio, Maurizio Calamida alla Asl di Carbonia, Ennio Filigheddu all’Azienda mista di Cagliari e Mariano Meloni a Oristano. Noi, allo stesso modo, quando siamo arrivati nel 2009 avremmo dovuto riconfermare Sorrentino al Brotzu e Franco Mulas a Nuoro. Ma l’ex assessore Nerina Dirindin lasciò un clima talmente avvelenato che decidemmo di cambiare.

Calamida uno a caso, indicato proprio da voi Riformatori. Eppure, nel 2013, rispetto allo stanziamento iniziale di 212, 5 milioni di euro, l’ex direttore generale chiese ulteriori 13,5 milioni per chiudere il bilancio. Tutto certificato dalla Corte dei Conti che ha duramente bacchettato il centrodestra per i totali 110 milioni e rotti di buco ripianato dal Consiglio regionale con la leggina Salva-Asl, di dicembre 2013 appunto.

Sì, ma il calcolo da fare è un altro: si è speso più o meno dell’anno precedente? La risposta è che i costi si sono ridotti. Poi certo, i rilievi dei giudici contabili sono correttissimi numericamente. Ma non nella sostanza. I 2.979.982.166,84 euro di stanziamento previsionale per la sanità 2013 venne calcolato in base ai parametri del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) che prendono in considerazione la popolazione, ma non della sua distribuzione sul territorio. I conti non sono tornati perché è sbagliato il presupposto. A Milano vengono assistiti 2 milioni di pazienti in 20 chilometri quadrati. In Sardegna 1 milione e 600mila persone distribuite su 24mila chilometri quadrati. La bassa densità di popolazione ha un costo.

Con la Asl unica cosa si risolve?

Intanto le Asl territoriali, che diventerebbero circoscrizioni senza più il direttore generale ma solo quello sanitario e l’amministrativo, si occuperebbero finalmente ed esclusivamente di assistenza medica e non anche di appalti, per esempio. Non credo che ci sarebbero ricadute negative sui pazienti nemmeno se l’ufficio stipendi fosse uno solo per tutti i 20mila dipendenti sardi. Stesso discorso per il centro unico di acquisto.

La resistenza al cambiamento arriva dalle lobby sarde della sanità?

Un tempo si diceva che facessero lobby le cliniche, ma secondo me è proprio un discorso del passato. Anzi: le visite specialistiche di routine andrebbero dirottate sulle strutture private. In questo modo si ridurrebbero i costi e le liste d’attesa. Ma sul welfare sanitario c’è la tendenza a fare i puri: si vuole che tutto sia pubblico, anche quando non sarebbe necessario. Del resto, per un controllo oculistico un ospedale spende 38 euro. Appoggiandosi invece a una clinica, il costo per il Servizio sanitario regionale scenderebbe a 20.

Quanto potere gestiscono i primari?

Tanto.

Decidono anche sugli appalti?

Incidono.

Quanto illegalmente?

Illegalmente, che io sappia, quasi mai. Ma se per una stessa operazione di emodinamica a Cagliari si usa il catetere di una determinata marca mentre a Sassari quello di un’altra casa produttrice, vien da sé che una qualche influenza venga esercitata.

Il vero assessore alla Sanità del centrodestra era Simona De Francisci o Giorgio Oppi?

Era ovviamente la De Francisci, ma Oppi ha contato molto. L’Udc, il suo partito, è stato determinante in tutte le scelte della nostra maggioranza, con abilità e pure una certa spregiudicatezza.

Voi Riformatori avete sofferto la presenza di Oppi?

Abbiamo due metodi diversi. L’Udc è sempre stato più interessato alla gestione diretta del potere. Noi abbiamo lavorato sulle idee , sull’innovazione, sulle proposte di legge.

Nella passata legislatura lei era componente della commissione Sanità con presidente Felicetto Contu, altro Udc. E lì in teoria sarebbero dovute approdare le vostre proposte di legge.

Quando un accordo non si trova in maggioranza, la mancata unità di intenti ricade identica in commissione.

Oggi chi è l’uomo più potente della sanità sarda?

L’assessore Luigi Arru. O se non lo è ancora, lo diventerà. Di certo, da medico qual è, conosce la materia.

Arru sarà capace di togliere ai medici e alla politica il potere che non rientra nelle competenze strettamente sanitarie?

Io credo che Arru e lo stesso presidente Pigliaru abbiano l’obiettivo di cambiare il sistema. Ma devono fare i conti con una maggioranza sgangherata che non credo glielo permetterà.

Coi soli voti del centrosinistra, il 17 novembre scorso il Consiglio regionale ha approvato la riforma della sanità. Si punta sulle case della salute e gli ospedali di comunità.

Quella legge aveva un solo scopo: commissariare le Asl. Per il resto mette insieme buoni principi, copiati da chissà quale manuale sulla corretta gestione della sanità, ma è totalmente priva di un disegno organico. Non è dato sapere dove il centrosinistra voglia arrivare.

Nella lista delle emergenze sarde certificate dalla Corte dei Conti c’è pure la spesa farmaceutica, schizzata ugualmente alle stelle durante il vostro quinquennio al governo della Regione.

Quando ci sono in sperimentazione 850 nuovi farmaci solo sul fronte degli antitumorali, è fisiologico che i costi aumentino. Tuttavia, il welfare sanitario sardo è ottimo: basti pensare che per le cure fuori dall’Isola si spendono appena 65 milioni, sugli oltre 3 miliardi di bilancio. Ciò vuol dire che i sardi hanno fiducia nei presidi territoriali.

Se il centrosinistra farà la Asl unica, i Riformatori sosterranno la maggioranza?

Si tratterà di valutare l’intero riordino da scrivere nei prossimi mesi. Ma nella Asl unica noi ci crediamo.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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