Gigi Sanna (Mzf): “Cappellacci ci ha scippato la Zona Franca”

Gigi Sanna, classe ’39, il decano tra i candidati governatore, leader del Movimento Zona Franca, firma il j’accuse sulla battaglia per la defiscalizzazione.

Errata corrige. «Il padre della Zona Franca non è Cappellacci che ne straparla senza aver messo a bilancio un solo centesimo per realizzarla». Gigi Sanna, classe ’39, insegnante di latino e greco in pensione, cultore della sardità e leader del Movimento Zona Franca, è molto irritato per quello che descrive come lo “scippo” di un sogno a cui era stato tra i primi a credere. Tanto da essere scelto per acclamazione dai zonafranchisti della prima ora come candidato governatore. Una corsa molto difficile.

Professor Sanna, a che punto è la vostra campagna elettorale?

«Continuiamo con passione e sentimento: senza soldi, come dovrebbe essere la politica, quella vera. Noi non abbiamo i milioni che hanno preso dalle nostre tasche Pd e Forza Italia attraverso il finanziamento pubblico dei partiti; compensiamo queste mancanze con la nostra grande volontà e il nostro coraggio di cambiare in meglio la nostra amata Sardegna».

Il percorso del Movimento Zona Franca comincia da lontano: ce la racconta brevemente la vostra storia?

«Per l’attivazione della Zona Franca, un diritto costituzionale dei sardi ma mai applicato, si sono creati da oltre un anno a questa parte moltissimi comitati spontanei. Il percorso del movimento è stato lento ma inesorabile, come un’onda che mano mano è cresciuta grazie al grande lavoro silenzioso dei cittadini, dei tecnici e di tutti i sindaci che hanno deliberato per la Zona Franca integrale. È stato un viaggio, un bellissimo viaggio che ci ha fatto riscoprire fratelli in un’epoca di desertificazione dei sentimenti. Il movimento per la Zona Franca ha preso così corpo, poiché questa era ed è una speranza concretizzabile per il futuro della nostra Isola e per i suoi abitanti. I sardi, ormai, sono disillusi e delusi, e si rinchiudono nel dolore di dover emigrare per sopravvivere».

Al di là delle emozioni, servono le leggi. A che punto è l’iter?

«Tutto si concretizzò con la diffida dei comitati spontanei al presidente della Regione, per adempiere al decreto legislativo 75/98 (quello che ha istituito i sei punti della Sardegna) entro il 24 giugno 2013. Alla diffida seguì, anche grazie alle pressioni di alcuni attivisti, la prima delibera del Consiglio regionale per la Zona Franca integrale, approvata a febbraio. Tanti poi sono stati i passaggi, ma oggi come allora, manca l’inserimento della Sardegna nel Codice doganale comunitario come Zona Franca extradoganale».

Ma Cappellacci non è il padre della Zona Franca?

«No. Il Presidente ha voluto trascinare l’argomento in campagna elettorale a tal punto che oggi si straparla di Zona Franca, ma nel bilancio dei prossimi tre anni non ha messo alcun investimento, nemmeno un centesimo per realizzarla».

Coi zonfranchisti della ‘Lista Randaccio’ siete ancora in guerra?

«Non è mai esistita una guerra tra di noi, tra i comitati. La Zona Franca è un diritto del popolo sardo, non può essere appannaggio di una parte politica e per questo il nostro Movimento era stato fondato per essere trasversale. La decisione dello staff tecnico di fare comunella con Cappellacci doveva per forza causare il disertamento di quanti sono coerenti col principio di apartiticità. Inoltre, quella decisione è stata presa senza una legittimazione assembleare. Le scelte dall’alto forse sono normali in Forza Italia, ma risultano essere un’improponibile assurdità per un movimento democratico come il nostro.

Come si fa a detassare cittadini e imprese senza tagliare i servizi?

«La domanda vera è un’altra: come si fa a pagare i servizi, se ci sono sempre meno entrate? Noi proponiamo la Zona Franca per detassare le imprese che creano occupazione e sviluppo, e per garantire una equa fiscalità ai cittadini sardi. Siamo pienamente consapevoli che abbiamo bisogno di un serissimo progetto economico che procederà sicuramente per scaglioni o stati d’avanzamento, partendo però dal lavoro che è la base fondante dell’economia reale. Creando nuova occupazione aumentano le entrate fiscali e con quelle si possono diminuire le tasse indirette che sono le più asociali, perché colpiscono in relazione maggiormente i meno abbienti. Inoltre reclameremo quei miliardi di imposte di fabbricazione che ci spettano e che questi politici non chiedono».

Ma i soldi per i servizi?

«Reclameremo il debito dello Stato nei nostri confronti, la cosiddetta Vertenza entrate. Reclameremo i soldi che l’Europa stanzia per le regioni e che troppe volte abbiamo mandato indietro inutilizzandoli. Invertiremo il circolo vizioso dei 1,4 miliardi di euro di evasione fiscale che sono quasi quanto le entrate dell’Iva. Oggi troppi non pagano, tanti non per malafede ma per fame. Non parliamo poi degli sprechi in ambito pubblico. Le risorse per creare il circolo virtuoso della Zona Franca ci sono. I partiti, però, perderebbero gran parte del loro potere e per questo non la vogliono e la ostacolano, sia a destra che a sinistra. Di certo, per fare tutto quello che abbiamo detto, ci serve subito l’agenzia sarda delle entrate».

Uno dei primi punti del vostro programma, è la difesa della lingua sarda: l’obiettivo qual è?

«L’identità sarda è il secondo punto del nostro programma. Zona Franca è, più che un progetto economico, una liberazione sociale e culturale. Sardegna franca vuol dire Sardegna libera. E questa libertà non può esserci se non siamo riconosciuti e non ci riconosciamo come popolo. La difesa delle nostre tradizioni e della nostra lingua sono fondamentali per raggiungere l’obiettivo di liberarci da una colonizzazione per certi versi fisica, come per esempio le basi militari, e per altri psicologica e mentale».

Sardigna Natzione, attraverso il suo leader BustianuCumpostu, ha fatto sapere che in queste elezioni sostiene il Movimento Zona Franca. Quanto indipendentismo c’è nella vostra proposta di governo?

«La Zona Franca integrale extradoganale è indipendenza senza dichiarazioni ufficiali, inni e pompa magna. Il primo passo verso l’indipendenza è inoltre sempre stato quello di essere economicamente autonomi».

Il diritto dei sardi alla mobilità come si garantisce?

«Noi vogliamo la formula 30-40-50: 30 euro per raggiungere la Penisola con un traghetto, 40 euro per un volo in ‘continente’, 50 per il trasporto di un’auto con annesso sconto per le famiglie. Questa mobilità doveva essere garantita dallo Stato italiano, anche questa questione va riaperta. Se la continuità la dobbiamo pagare noi, perché diamo allo Stato le compartecipazioni fiscali? Se ci lasciano soli, facciamo da soli ma ci teniamo anche le nostre tasse. Tutte».

C’è una soluzione per abbassare le bollette elettriche?

«È noto a tutti che la Sardegna produce più di quello che consuma e che i prezzi sono superiori del 40 per cento rispetto ad altre regioni d’Italia. Questo perché la società che amministra la rete elettrica non è sarda. Bisogna subito creare una società che faccia i nostri interessi e tolga subito Iva e accise dalla bolletta, cosi come è necessario abbassare i costi di gestione della rete stessa. Se si analizza attentamente la bolletta ci si accorge che dell’importo da pagare, in media, solo un terzo è realmente consumo».

L’agricoltura come si rilancia?

«Diversificando la nostra produzione. Il nostro export è concentrato sul pecorino, poi, staccati, ci sono vino, olio e carciofi. L’export si concentra per il 60 per cento sull’America settentrionale, cioè Usa e Canada. Il nostro giro d’affari nell’agroalimentare, per un territorio di dimensioni paragonabili alla Sicilia ma con più acqua, è ridicolo. Importiamo l’80 per cento di quello che mangiamo e importiamo spazzatura alimentare, quando invece abbiamo a casa prodotti biologici di grande qualità. La nostra ricetta parte dall’autarchia alimentare. Prima si mangia quello che produciamo».

Esiste un modello industriale compatibile con la Sardegna?

«Eccome. Dobbiamo ripartire dalle nostre eccellenze che sono nell’artigianato e devono poter diventare distretti industriali sostenibili. Se riusciamo a combinare la nostra tradizione artigianale con il supporto di tecnologie moderne, possiamo realizzare delle boutique di prodotti di qualità. La Sardegna, per ovvi motivi, non si presta a una produzione di massa, ma a una produzione di nicchia con un alto valore aggiunto. La nuova rivoluzione industriale con le stampanti 3D è un treno che le nostre aziende non possono perdere».

Il Ppr va ritoccato?

«Ogni legge urbanistica, finora, o è stata restrittiva per evitare le speculazioni o è risultata un invito alla cementificazione. I politici sardi non sono stati in grado di fare invece un Ppr di pianificazione a lungo termine. Abitiamo case inadeguate da un punto di vista energetico. Il Pppr dovrebbe quindi focalizzare questo aspetto incentivando le ristrutturazione per abbassare anche i costi dei consumi energetici, attraverso l’utilizzo di materiali ecologicamente sostenibili».

Da decenni, ormai, si parla di destagionalizzazione. Ma ancora nessuno è riuscito nell’impresa. L’obiettivo è alla vostra portata?

«Molti operatori nel settore turistico si sono addormentati sotto l’ombrellone. Il mercato si è evoluto e se non adeguiamo l’offerta alle esigenze dei turisti, la crisi diventerà cronica. Tedeschi e inglesi da soli spendono all’anno 100 miliardi di euro per le ferie. La diversificazione dell’offerta deve cominciare subito. Dobbiamo attrarre amanti del cavallo, cicloamatori, golfisti, amanti del wellness, dell’archeologia, della cultura e dell’arte. Dobbiamo attrarre escursionisti, scalatori, sportivi di tutti i tipi, giovani in cerca di avventura e di vita all’aria aperta. C’è inoltre il turismo enogastronomico che ben si sposerebbe con l’allevamento e l’agricoltura. In Sardegna ci sono 80 formati turistici possibili, finiamola di credere che spiaggia, sole e mare possano bastare».

Il 16 febbraio chi vince?

«Speriamo vinca la Sardegna non i partiti tradizionali con i loro collaborazionisti. Ma con questa legge elettorale in ogni caso perderà sempre la democrazia, quella rappresentativa e vera».

Alessandra Carta

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