Michele Carrus, leader della Cgil sarda “Al voto per fermare il disastro”

Parla Michele Carrus, segretario della Cgil: «Così non si può andare avanti, serve una svolta. Le proposte di governo non sono tutte equivalenti».

Nelle beghe della campagna elettorale Michele Carrus non ci vuole entrare. «Il voto è sempre utile», sottolinea il leader della Cgil sarda, «l’unica differenza è che non tutte le proposte di governo sono equivalenti. Di certo, così non si può andare avanti, serve una svolta».

Segretario, c’è anche lei in quel 50 per cento di indecisi o di promessi astensionisti?

«No, io so bene chi e cosa sceglierò il 16 febbraio».

Provando a indovinare: voterà per Pigliaru?

«Non è una questione di nomi. Né di appartenenze. Ma di contenuti. La rilevazione è oggettiva: gli indicatori economici della Sardegna ci dicono che siamo al disastro. Serve una svolta, una netta discontinuità. La nostra Isola ha bisogno di un piano strategico di sviluppo. La sola propaganda non ha funzionato, è evidente».

I 100mila posti di lavoro persi si possono recuperare?

«Si devono recuperare. Per capire la portata di quelle 100mila buste paga, vanno intanto individuati i settori più in crisi».

Quali sono?

«Finora il prezzo più alto lo ha pagato l’edilizia, con 19mila nuovi disoccupati, lavoratori che erano regolarmente iscritti alle casse edili. Si aggiungano i circa duemila degli impianti fissi. Altre 19mila buste paga le ha perse l’agricoltura, dato che comprende anche il lavoro autonomo. L’industria è a meno 15mila. Ma pure il terziario, settore che sembrava non conoscere crisi, tra turismo e commercio conta 4mila uscite dal mercato del lavoro. Un disastro».

La speranza come si restituisce?

«Riorganizzando la spesa all’interno di un progetto, anche di riforma nell’assetto della Regione. Non ci sono soltanto 100mila nuovi disoccupati: non vanno dimenticati i 140mila sardi che vivono grazie agli ammortizzatori sociali. Vuol dire che un terzo della nostra forza lavoro è bruciata. Sono numeri assoluti spaventosi. Ma nessuno considera il grigio diffuso, cioè le sacche di precariato, l’impiego iperflessibile, il cui dramma non è censito perché sfugge alle statistiche. A picco è andata anche la domanda di lavoro, cioè quell’esercito di oltre 120 mila scoraggiati che un posto non lo cerca nemmeno più: le forze di lavoro attive sono passate da 710mila del 2008 a 670mila».

La disoccupazione adulta a quanto è arrivata?

«Al 18 per cento. Su quella giovanile siamo al 47. Eppure c’è qualcuno che pensa di potersi permettere di presentare agli elettori un elenco di cose fatte per la Sardegna».

Sta parlando di Cappellacci?

«Lascio alla libera interpretazione».

Non è possibile che il centrodestra non ne abbia azzeccata una.

«Infatti è meritevole l’intenzione espressa attraverso i piani di filiera e di sviluppo locale: ne sono stati organizzati otto, uno per provincia, destinando a ciascuno 10 milioni. Ma alle intenzioni bisogna far seguire la progettualità. Non è successo. La programmazione negoziata del centrodestra non mi pare abbia prodotto risultati in termini di occupazione, per esempio».

La Zona Franca porterà lavoro?

«Il Bengodi fiscale è una trovata di sicuro impatto. In mezzo a tanta disperazione, anche lo sconto sulla birretta catalizza consensi. Figuriamoci quando si promette di far pagare la benzina a metà prezzo o di cancellare le tasse alle imprese».

Dice che è una bugia?

«Colossale. E non lo sostiene la Cgil, ma è scritto nei numeri di Confindustria. In Sardegna si spende il 103 per cento del Pil, e sono circa 30 miliardi, in spesa pubblica allargata. Le entrate ammontano, complessivamente, a poco più del 50 per cento del Pil. Ma se le diminuiamo ancora, non si possono più garantire i servizi ai cittadini. La sanità diventerebbe a pagamento. O per la retta dell’asilo dei nostri figli bisognerà sborsare cifre astronomiche».

In questa campagna elettorale si duella anche sulla paternità del taglio all’Irap: Cappellacci si prende il merito, il centrosinistra pure.

«Che la proposta sia stata del Pd, lo si può leggere nelle cronache di quei giorni. Di certo, chi governerà la Sardegna nei prossimi cinque anni dovrà fare in modo che le imprese convertano quel risparmio anche in lavoro. A fronte dell’Irap tagliata andranno garantite nuove assunzioni. Ma per tornare al Bengodi fiscale, va detto che la tassazione negativa, ovvero la riduzione indiscriminata dei tributi, a tutti, senza differenze di reddito, non fa che perpetuare le diseguaglianze. Servono interventi mirati, anche sulla base di quel principio costituzionale che impone una tassazione progressiva».

Patto di stabilità non ritoccato.

«Altro fallimento di questi ultimi cinque anni. Si è data prima la colpa a Monti, poi a Letta. Ma mai all’unico responsabile: il governo Berlusconi. Di sicuro, aumentare la soglia della spesa avrebbe avuto poco senso davanti a un assessorato alla Sanità che ha moltiplicato i propri costi. E non per garantire più servizi, ma per assegnare poltrone agli amici moltiplicando l’apparato amministrativo attraverso nuovi centri di spesa e nuove direzioni sanitarie. Con l’aggravante che questa Giunta sta tagliando i posti letto senza avere un Piano sanitario».

L’assessore De Francisci ha detto di aver studiato per riorganizzare la rete ospedaliera.

«Sì, uno studio che ha fatto aumentare il disavanzo da 76 milioni a 360, dal 2008 al 2012. La legislatura si sta chiudendo non solo senza piano sanitario, ma manca pure quello dei trasporti. Non è stato elaborato nemmeno un piano energetico, non c’è traccia della programmazione socio-assistenziale. Non si può dire che coi fondi europei sia andata meglio: la Regione ha saputo spendere solo il 53 per cento delle risorse disponibili. Il disastro mi pare generalizzato e diffuso. Il solo piano ritoccato è stato il Ppr, e non per difendere la salvaguardia ambientale ma per aprire alla speculazione, rispolverando vecchie lottizzazioni sul mare».

Alessandra Carta

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