Gli schiavi-pastori venuti dal mare


Un esercito
visibile nelle campagne, ma invisibile nelle carte ufficiali. Il numero degli immigrati impiegati come servi-pastori nelle aziende agro-pastorali del Nuorese è altissimo. E il loro lavoro, per pochi spiccioli e molta fatica, tiene in piedi le tante aziende disseminate nei paesi dell’interno.

 L’altro ieri a Nuoro si è aperto il processo contro due allevatori di Ottana, padre e figlio, di 81 e 50 anni. Sono accusati di aver ridotto in schiavitù tre giovani rumeni che avevano assunto come servi-pastori. Il padre deve rispondere anche di violenza sessuale. Rischiano fino a vent’anni di carcere.

 Non “servi”, ma “schiavi-pastori”. Un caso isolato? Di certo è molto complicato capire cosa realmente accade nelle campagne del Nuorese. Non si sa nemmeno quanti siano esattamente i lavoratori stranieri che vi lavorano.

 Secondo dati incrociati del Centro servizi lavoro e dell’Ispettorato, in provincia di Nuoro attualmente vi sono appena una ventina di lavoratori extracomunitari e una decina di lavoratori comunitari rumeni, detentori di contratti regolari nel settore agropastorale. Ma se uno prende una jeep e fa un giro nelle campagne, si accorge che sono molti di più. La possibilità che i servi pastori d’oltre confine si manifestino alle autorità, infatti non è la norma. La convinzione degli esperti è che il caso denunciato dai tre ragazzi rumeni non sia isolato. Isolata è, più probabilmente, la loro denuncia.

 “Siamo consapevoli – spiega Gina Piras responsabile del centro per l’impiego della Provincia di Nuoro – che i dati di cui disponiamo riguardano quella piccola parte di immigrati regolari e contrattualizzati. E’ evidente che nel settore agro-pastorale c’è molto sommerso”.

 La retribuzione di un servo-pastore straniero si aggira attorno ai 600 euro al mese, una cifra che nessun ragazzo sardo accetterebbe per un lavoro così pesante. La regolarizzazione è molto onerosa per il datore di lavoro che comunque, per poterla effettuare, deve avere un reddito annuo di almeno 25mila euro. Cifre che chiariscono perché le regolarizzazioni sono rare.

 Quando poi il lavoratore è extracomunitario, l’assenza di un contratto di lavoro lo rende un clandestino. Non è un caso che le rare denunce vengano dai rumeni che, in quanto comunitari, non corrono il rischio dell’espulsione. Gli altri sono totalmente in balia dei loro datori di lavoro.

 I controlli sono complicatissimi. “Le nostre verifiche raramente evidenziano irregolarità, ma non perché non ce ne siano”, dice Pietrina Corrias responsabile dell’ufficio ispezioni dell’Agenzia per il lavoro. “E’ l’ispezione in sé a essere difficile: bisogna arrivare sul posto all’alba, muoversi in un territorio vasto, in cui trovare il servo pastore è spesso una chimera. Di norma ci muoviamo con i carabinieri, ma prima c’è un meticoloso lavoro preparatorio. Sono numericamente irrilevanti, specie per quanto riguarda gli extracomunitari, i casi di denuncia del datore di lavoro per mancata corresponsione del salario e mancata regolarizzazione della posizione contributiva”.

 Ma, secondo il giovane antropologo di Lula Sebastiano Mannia, assegnista di ricerca nella facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, ”bisogna evitare di demonizzare i datori di lavoro, anche quelli che pagano in nero, ed è necessario tenere distinti i casi di sfruttamento dal lavoro sottopagato”.

 “Con 600 euro al mese – spiega Mannia – un ragazzo rumeno, che ha vitto e alloggio gratis, fa vivere la sua famiglia in patria. Ha insomma una convenienza. Il vero problema è ciò che sta all’origine di questo fenomeno: l’estinzione de servo pastore sardo, una figura che ha retto l’economia di questa terra per secoli. Ha cominciato a scomparire negli anni Ottanta, con la monetizzazione: il servo-pastore, che prima veniva pagato in merce, ha iniziato a essere retribuito in denaro, circa un milione di lire, una paga adeguata agli standard di vita dell’epoca. Ma negli anni Novanta quella cifra non bastava più”.

 E presto, secondo Mannia (che ha dedicato la cui tesi per il dottorato al “pastoralismo nella dimensione euro-mediterranea”), sarà insufficiente anche per i servi-pastori venuti dal mare, quelli comunitari in particolare: “La Romania è entrata nell’Unione Europea nel 2007, ma la sua moneta non è ancora equiparata all’euro. Quando lo sarà, i 600 euro non basteranno più. E allora saranno cavoli amari per molte aziende agro-pastorali dell’interno. Non è infatti facile trovare servi-pastori stranieri. I rumeni, e prima di loro gli albanesi, si adattavano a questo lavoro durissimo. Altri lavoratori, per esempio gli africani, pur disponibili ad altri lavori durissimi, a questo difficilmente si adattano”.

Maria Giovanna Fossati

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