Ventidue milioni di euro. Poco meno di 44 miliardi delle vecchie lire. Tanto la giunta Cappellacci ha assegnato alle scuole materne private, a partire dall’anno scolastico 2012/2013. La delibera dell’esecutivo è del 18 settembre scorso, vergata dal governatore su proposta dell’assessore alla Pubblica istruzione Sergio Milia, in quota Udc. Pubblica istruzione. Che avvantaggia i privati. E così, se nella maggior parte delle scuole materne pubbliche la prima cosa che viene consegnata ai genitori è una lista che comprende tutto ciò che il bambino deve portarsi da casa (carta igienica compresa), nelle casse delle scuole dell’infanzia private – si parli di ditte individuali o istituti religiosi – arriva una marea di denaro pubblico. Piccola nota: la spesa è autorizzata anche a valere sulla legge regionale numero 6 del 15 marzo 2012. Per la precisione: comma 32, articolo 3. Che, paradossalmente, recita “Semplificazione e contenimento della spesa”.
Quando i soldi non bastano mai.
Piccolo particolare: i proprietari della materne private pretendono chiaramente una retta, che i genitori corrispondono mensilmente. Si va da un minimo di cento euro al mese fino a trecento e più in istituti privati “di rango”. In più, a parte e a valere su norme vecchie di trent’anni, le scuole dell’infanzia private incassano finanziamenti per la gestione della mensa, dei trasporti e delle attività ludico-didattiche. Con l’ultima delibera, arrivano ulteriori fondi da impiegare per il personale e il “funzionamento” degli istituti (progetti e attività varie). In sostanza, la Regione paga gli stipendi a dipendenti privati: insegnanti, amministrativi, collaboratori scolastici.
Il vescovo ordina, la Regione paga.
L’allegato alla delibera firmata Cappellacci definisce i criteri di chi può usufruire dei finanziamenti. Tutti, pressoché indistintamente. Giusto per fare un esempio: oltre alle ditte individuali, figurano chiaramente anche gli istituti religiosi. E qua c’è una ulteriore “apertura”:la Regione assicura i denari non solo alle materne religiose riconosciute civilmente, ma pure a quelle che non hanno nemmeno un pezzetto di carta fornito dallo Stato. Bastano quattro righe su carta intestata della diocesi. Ovvero, è il vescovo a decidere se un istituto religioso prende o meno i soldi statali. Recita testualmente l’allegato che per concorrere ai finanziamenti, “per gli enti religiosi con riconoscimento diocesano e senza riconoscimento civile” è sufficiente “un attestato dell’Ordinario diocesano dal quale risulti l’esistenza dell’ente ed il suo rappresentante legale”.
Tempismo.
Dalla delibera del 18 settembre sono trascorse poco più di due settimane e l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa riunita oggi a Strasburgo approva quasi all’unanimità una “piccola” risoluzione. Che fissa un criterio semplice semplice: “No al finanziamento pubblico delle scuole private”. Si raccomanda, certo, di assicurare fondi sufficienti agli istituti privati. Ma solo se l’offerta pubblica è insufficiente. A volte lo è, perché mancano i fondi.
Cosa dice la legge.
Per avallare lo stanziamento da 22 milioni di euro appena approvato, la Regione si basa – tra le altre – su una legge regionale del 1984. L’aveva fortemente voluta – e controfirmata – l’allora presidente della Regione Angelo Rojch, democristiano. Il quale, venticinque anni fa, impiegava la stessa formula: i fondi alle private si garantiscono, fino a un massimo del 75 per cento, “qualora i servizi offerti dagli istituti pubblici fossero carenti”.
Pablo Sole