La guerra frena l’arrivo di grano e cereali: suona l’allarme per le aziende agricole

Matteo Sau

Da un lato ci sono le immagini terribili di una guerra che nel 2022 sta mietendo vittime innocenti, devastando paesi e città e costringendo migliaia di persone a fuggire dalla propria terra. Da un altro ci sono gli effetti che a breve si abbatteranno sugli altri Stati, perché negli anni, la dipendenza dalla Russia dal punto di vista energetico e sull’importazione di prodotti (il grano in primo piano) crea ora un pericoloso corto circuito.

L’aumento del costo energetico è cominciato prima che l’Ucraina finisse sotto le bombe e, inevitabilmente questo effetto si riverbera anche sulle produzioni autoctone. Per quanto riguarda, invece, le importazioni, cominciano a emergere i primi problemi. Non è ancora una situazione da bollino rosso, ma il rischio è che, soprattutto per alcuni prodotti come grano tenero (per il settore alimentare), mais, cereali e soia per i mangimi da allevamento, causino qualche problema alle aziende.

La situazione attuale ha radici che vanno indietro nel tempo ed è figlia di scelte che hanno sacrificato questo tipo di economia causando una riduzione nella coltivazione del grano in Sardegna, diminuita in maniera vertiginosa negli ultimi diciotto anni. Secondo i dati Istat, infatti, sono circa trentamila gli ettari coltivati, si tratta soprattutto di grano duro, con una perdita del 70 per cento in diciotto anni, visto che nel 2004 gli ettari coltivati erano 97mila.

Questa situazione rischia di abbattersi in maniera pesante sui prezzi al consumo, dato in cui la Sardegna detiene già alcuni record negativi contenuti nella rilevazione di gennaio (quindi prima della situazione Ucraina) da parte del ministero dello Sviluppo economico.

In provincia di Cagliari, infatti, un chilo di pasta arriva a costare anche 4,7 euro al chilo (1,95 euro il prezzo medio) che porta il capoluogo in testa alla classifica delle province italiane dove la il costo è maggiore. Sassari si piazza al secondo posto, con un prezzo massimo di 3,35 euro al chilo (1,80 il prezzo medio). Listini molto diversi rispetto a quelli delle altre città italiane: basti pensare che a Messina il prezzo per la stessa quantità non supera il massimo di 1,86 euro (1,21 il prezzo medio), e a Siracusa arriva a un massimo di 2,07 euro.

A denunciare la situazione è l’Adiconsum: “Ancora una volta i cittadini sardi si ritrovano penalizzati rispetto al resto d’Italia sul fronte dei listini al dettaglio– denuncia il presidente Giorgio Vargiu –. A pesare sulla crescita dei prezzi non solo il caro-bollette e la corsa al rialzo dei carburanti, ma anche le speculazioni: nella delicata situazione attuale è altissimo il rischio di fenomeni speculativi tesi a rincarare in modo ingiustificato i listini aggravando le spese delle famiglie”.

Matteo Sau

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