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Alcoa, vertenza appesa agli sgravi. L’assemblea prepara l’ultima battaglia

Sgomento e delusione tra i lavoratori dell’Alcoa e degli appalti in assemblea generale: la vertenza sull’industria del Sulcis sembra destinata ad un clamoroso fallimento. Che comporterà inevitabilmente dolorosi strascichi di carattere economico e sociale per l’intero territorio. Perfino un sindacalista navigato come il segretario generale regionale della Fim Cisl (dei metalmeccanici) Rino Barca, che ha fatto la relazione introduttiva, ha incontrato difficoltà nel descrivere le tali e tante insidie, che nascondono altrettante incognite, dietro il tortuoso percorso che porta ad una soluzione positiva della vicenda Alcoa. A incominciare proprio dalla riunione che si è svolta martedì al ministero dello Sviluppo Economico al quale i rappresentanti del consiglio regionale, in autoconvocazione, e la delegazione dei sindaci non hanno potuto partecipare, con loro grande disappunto, per espressa decisione della ministra Federica Guidi. Nell’incontro la ministra, con precisione, ha comunicato ai presenti che lo strumento della superinterrompibilità è considerato un aiuto di Stato da parte dell’Unione Europea, pertanto non più utilizzabile, già dal novembre dello scorso anno. Gelando le aspettative dei sindacalisti che sono letteralmente caduti dalle nuvole. Infatti nessuno, a quanto è dato sapere, era a conoscenza della modifica della normativa europea sulla quale è stato costruito il protocollo d’intesa per la cessione della fabbrica tra Alcoa e Glencore.

Eppure questo strumento avrebbe dovuto rappresentare la “ciambella di salvataggio” dello stabilimento di alluminio sulcitano, su cui tutti puntavano, permettendo un abbattimento dei costi energetici, rendendo quindi così conveniente la produzione industriale del metallo. Non solo. Questo strumento è il medesimo che ha permesso fino ad oggi anche all’altro stabilimento di Portoscuso, la Portovesme srl, l’unico ancora in attività, di continuare a estrarre lo zinco dagli scarti di lavorazione delle acciaierie. Distribuendo oltre mille buste paga. Lo strumento energetico però scadrà il prossimo 31 dicembre. E la Commissione Europea, a scanso di equivoci, ha già reso noto che non ci saranno ulteriori proroghe a quelle già concesse negli anni scorsi. Pertanto il quadro si complica ulteriormente. Infatti se il Governo italiano non sarà in grado di elaborare una proposta credibile in brevissimo tempo per la fornitura di energia elettrica a costi competitivi che non incappi nelle strette maglie dei controlli della commissione energia dell’UE, la fine del polo industriale di Portovesme sarebbe segnata. E conoscendo i tempi della politica italiana c’è da stare poco allegri.

 

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Lo scenario italiano. “Ma il polo industriale di Portovesme non sarebbe l’unico a trovarsi in grave difficoltà, afferma Roberto Puddu segretario generale della Cgil. Infatti nella medesima situazione si trova anche l’Ilva di Taranto, tanto per citarne una, come tante altre realtà regionali e nazionali che in varia misura utilizzano questo strumento per abbattere i costi di produzione. Per quanto ci riguarda – aggiunge Puddu – siamo venuti a conoscenza della modifica normativa solo un mese fa. Ma il Governo ha anche comunicato di avere pronto, in alternativa, un “pacchetto energia” che andrebbe a collocare il prezzo del Kw nelle fasce più basse di mercato. Per questo la ministra Guidi ha comunicato che entro la prima metà di dicembre ci sarà una nuova convocazione in cui verranno presentate le linee guida delle proposte. Resta a questo punto da vedere se la Glencore, la multinazionale svizzera interessata a rilevare lo stabilimento Alcoa, valuterà positivamente i provvedimenti, che interesseranno anche la Portovesme srl”.

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In realtà nella nota stampa del MiSE si legge che il Governo si impegna a ottenere entro l’anno l’autorizzazione alla “nuova superinterrompibilità” per Sardegna e Sicilia le cui regole dovrebbero eliminare il rischio dell’aiuto di Stato. La rappresentante del Governo ha anche assicurato che nel frattempo Alcoa non procederà con lo smantellamento degli impianti. Daniela Piras, segretaria della Uil, si mostra invece più possibilista: “Dobbiamo giocare la partita fino in fondo. Una partita che è tutta politica andando a incassare l’accordo che permetterà a questo stabilimento di ripartire”. Fabio Enne, segretario della Cisl, si chiede, ma la domanda andrebbe fatta al Governo, se l’alluminio, il piombo e lo zinco siano ancora produzioni strategiche per il paese Italia. E se la vertenza sul sistema energetico sardo, che si trascina ormai da quindici anni, non sia ora di essere definitivamente chiarita. Ma i lavoratori, quelli più direttamente interessati che dicono? Per Fabrizio, un operaio sempre presente alle manifestazioni, non ci sono dubbi: “È l’ennesima presa in giro ai nostri danni. Il mese prossimo ci ritroveremo ancora qui a raccontarci l’amara verità di questa vertenza. E dire che a settembre sarebbe dovuto venire il nostro presidente Renzi in persona a far ripartire la fabbrica”. Ma la protesta continua a oltranza. I caschetti bianchi non hanno intenzione di farsi travolgere dagli eventi senza combattere la loro ultima battaglia. E già sono in programma nuove e rumorose iniziative sindacali per il lavoro. Un lavoro che si allontana sempre di più.
Carlo Martinelli

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