Una Cagliari nera di inizio Novecento: ecco “I delitti della salina” di Abate

Il suo sguardo sembra perdersi nell’orizzonte, in un punto indefinito del mare cagliaritano. Clara Simon è ritratta di profilo: indossa un abito che le lascia scoperto il collo e un cappello di paglia che cela parzialmente la chioma raccolta. Ha un tratto malinconico che pure sprigiona una grande forza d’animo. Una figura antica e insieme modernissima che è perfettamente in linea con la sua personalità. Clara – ritratta in copertina da una splendida illustrazione in tinte senape e turchese realizzata da Riccardo Falcinelli – è la protagonista del nuovo romanzo di Francesco Abate, I delitti della salina, uscito nei giorni scorsi per Einaudi Stile Libero. Ha 24 anni, è l’unica giornalista donna in una Cagliari di inizio Novecento percorsa da forti tensioni sociali e all’alba di numerosi cambiamenti. È figlia di un capitano della marina – di cui si sono perse le tracce da cinque anni – e di una donna cinese morta pochi giorni dopo il parto. Una mezzosangue, sibilano a denti stretti i membri della nobiltà e della borghesia cittadina che non l’hanno mai veramente accettata, nonostante il nonno, Ottavio Simon, fosse “il padrone di buona parte del porto di Cagliari”. Il suo temperamento irrequieto e il suo alto senso della giustizia non la fanno ben volere da chi al contrario vorrebbe che rimanesse al suo posto. La troviamo all’inizio del romanzo messa ai margini nella vita del suo giornale, l’Unione, punita per un articolo che non avrebbe dovuto scrivere: “Era finita in un sottoscala a correggere le bozze di due rubriche di scarso valore per aver osato far venire a galla la verità. Una verità che non era piaciuta a molti”.

Il giornalista e scrittore cagliaritano costruisce intorno alla sua figura un romanzo giallo che ha l’ambizione di essere un grande racconto popolare, dove l’indagine è anche un pretesto per raccontare l’animo nero di una città bellissima ma piena di contraddizioni e contrasti. Insieme a lei, il collega e amico d’infanzia Ugo Fassberger, giovane rampollo della famiglia proprietaria del caffè Elvetico, e il tenente dei carabinieri Rodolfo Saporito (esatto, il bisnonno di uno dei personaggi più celebri di Abate, protagonista de Il cattivo cronista e di Così si dice). Insieme – e immersi in una specie di triangolo amoroso molto divertente –  indagheranno sulla morte di alcuni piciocus de crobi, i cosiddetti “ragazzi della cesta”: bambini e ragazzini senza famiglie, abbandonati e mal nutriti, che vivevano ai margini della società cagliaritana dell’epoca. Intorno, un via vai di personaggi che rimangono fortemente impressi nell’immaginazione del lettore: operaie della manifattura tabacchi super politicizzate, anarchici, avanzi di galera, luminari di medicina, carabinieri corrotti, latiniste aride e reazionarie, in una Cagliari ricostruita minuziosamente, tra gli odori della Marina e l’orto botanico, le saline di Molentargius e il Poetto ancora selvaggio di inizio Novecento.

I suoi ultimi romanzi erano autofiction basate su alcuni aspetti della sua biografia: il rapporto con sua madre, la malattia e il trapianto di fegato. Con I delitti della salina invece è tornato a una storia di pura finzione.

La covavo da parecchio tempo e cercavo il coraggio di scriverla. Siccome faccio lo scrittore per passione – certo in modo professionale, ma il mio lavoro principale è un altro – ho deciso che tutto quello che faccio deve corrispondere a un mio piacere personale. Scrivo di ciò che mi affascina, che mi diverte. Volevo raccontare una saga popolare ambientata a inizio secolo, con tutto il suo carico di aspettative e novità, e poi nello specifico l’inizio del secolo a Cagliari. La città conobbe uno stravolgimento grazie al sindaco Bacaredda: cambiò indole e faccia. Un momento unico, ricco anche di contrasti sociali che sfociarono nelle proteste di piazza. Poi l’idea era quella di un romanzo che avesse un personaggio femminile. Totalmente inventato ma riflesso di alcune donne della mia vita.

In effetti anche qui ci sono alcuni riferimenti – nascosti o evidenti – alla sua storia familiare.

Tutte le nostre famiglie sono scrigni di storie. Basta dedicar loro del tempo e saltano fuori racconti bellissimi. Ho avuto un rapporto forte coi miei nonni, molto presenti nella mia vita a causa delle condizioni di salute di mio padre: sono stati anche genitori, ho vissuto con loro. Mia nonna materna aveva nove tra fratelli e sorelle, mio nonno undici. Persone che ha avuto vite interessanti: un bagaglio di storie da cui attingere.

Nello specifico quali storie sono entrate nel libro?

Le due vicende cardine presenti nel romanzo sono: da una parte l’emigrazione degli svizzeri alla fine dell’Ottocento a Cagliari, numericamente esigua ma storicamente importante. Vennero nell’Isola per aprire soprattutto dei caffè: due di questi sono lo Svizzero e Tramer. Il direttore che mi ha assunto al giornale, Arturo Clavuot, era figlio di quegli emigrati. E uno di questi era il padre di mia nonna, che ho avuto modo di conoscere e frequentare. L’altra storia era quella delle donne di famiglia. Che si sono realizzate professionalmente in anni in cui questo non era la norma.

Su Facebook ad esempio ha raccontato la vicenda di una sua antenata anarchica…

Sì. Alcune donne della mia famiglia avevano storie particolari, come la sorella di mia bisnonna: in famiglia si raccontavano gli aneddoti su Elvira che, in quanto anarchica, quando arrivavano i funzionari del Regno d’Italia la portavano in galera preventivamente. Immagina queste storie raccontate a un bambino, magari all’orto botanico, che cosa erano in grado di innescare. Poi altre parenti erano impiegate come sigaraie alla manifattura tabacchi: quelle stesse operaie che nel 1906 furono a capo di una rivolta a Cagliari, con due lavoratori uccisi dall’esercito.

Come ha lavorato per creare il personaggio di Clara, la prima protagonista femminile di un suo romanzo?

Non è stato difficile. Esempi di Clara ne ho avuto tanti nella mia vita: donne forti, determinate, emancipate o in lotta per l’emancipazione. Mia nonna, mia prozia, mia madre stessa che è una donna di una forza eccezionale e che non mi ha permesso certo di non essere attento al tema dell’equità di genere: mi prendeva a bastonate. Un imprinting che ho mantenuto circondandomi di donne forti. Donne mai disposte a fare passi indietro. Poi ho una editor di primissima qualità, Rosella Postorino: è il sesto libro che facciamo insieme e anche lei è una donna così. Anche mia moglie Grazia (Pili, ndr), che è giornalista: ci siamo divertiti insieme a costruire Clara, a darle determinate caratteristiche.

Per lei ha scelto un lavoro che conosce bene, quello della giornalista.

All’inizio del Novecento a Cagliari non c’erano giornaliste donne. Quello che è piaciuto a me e a Grazia era proprio quello di creare sul piano narrativo una figura che fosse pioniera, apripista in questo ambito. È un personaggio credibile. Abbiamo condotto molte ricerche. Già nelle università pare ci fosse una certa presenza femminile, abbiamo anche la prima laureata in medicina. E le 450 operaie della manifattura, un ganglio fondamentale della crescita economica della città. Parliamo di donne che portavano lo stipendio a casa, scendevano in piazza per chiedere la diminuzione dell’orario di lavoro. E la ottenevano.

Nella sua seconda opera, Il cattivo cronista, il protagonista Rudy Saporito è un giornalista cinico e spregiudicato, anche scorretto, che si fa strada senza particolare riguardo nei confronti del prossimo. Clara invece mostra una figura di giornalista esattamente agli antipodi. Idealista, con un alto senso della giustizia.

Troviamo Clara emarginata già all’inizio del romanzo. Ha vissuto sulla sua pelle cosa significhi fare questo lavoro in maniera ideale, al servizio della verità costi quel che costi. Infatti la troviamo degradata a correttrice di bozze. Come molte donne e molti uomini di quegli anni Clara è dotata di grandi ideali e ha una forte morale che l’accompagnerà per tutto il romanzo. È una donna pura che ha anche l’ingenuità e la freschezza della giovane età: è appena 24enne. Da una parte c’è l’imprinting di un’epoca, e dall’altra la poca esperienza della sua età. Ora vedremo se nel corso del tempo manterrà la sua purezza, i suoi ideali, o se il mondo che la circonda la corromperà. Però ne Il delitto della salina non scende a compromessi e ne pagherà le conseguenze a livello professionale, sociale e personale.

A proposito di giornalismo, il direttore del quotidiano per cui lavora Clara si chiama Giorgio Pisano: un omaggio a un suo maestro.

Se sono diventato il giornalista che sono e specifico: dico giornalista senza aggettivi, anche pessimo magari, o mediocre, o buono… Insomma, qualsiasi cosa sia diventato lo devo a lui. Nella vita di ognuno è fondamentale l’incontro con un buon maestro. Lui aveva una voce che affascinava, anche dura, anche severa. Ha avuto la voglia, il tempo, la passione e la pazienza di insegnarmi non solo un mestiere, ma anche a stare al mondo. Ha segnato profondamente la mia esperienza. Credo che la morte di Giorgio sia stata ingiusta, troppo prematura. Aveva ancora tanto da dare alla sua famiglia e al suo lavoro. La vita non ha dato a Giorgio la possibilità di esprimere se stesso fino alla fine, così ho voluto dargli un ruolo importante nel romanzo. Tra l’altro è un faro molto comprensivo nei confronti di Clara. Ha fatto da scudo quando c’era necessità di farlo. Proprio come ha fatto Giorgio con me.

È un po’ inevitabile leggere un romanzo ambientato in altra epoca con gli occhi di oggi e provare a trovare delle corrispondenze. La Cagliari del 1905 mostra una classe dominante ricca, ipocrita e ben attenta a difendere i propri privilegi, accanto a una società di marginali o di lavoratori che iniziano a rivendicare maggiori diritti sociali. Il romanzo mette in mostra diseguaglianze forti che – in forme diverse da allora, certo – sono ancora ben presenti nella nostra società. Tanto da essere una delle grandi questioni del nostro tempo.

Sì, è così. Ma ancora di più il filo rosso del romanzo è quello della gestione del potere fatta in maniera arrogante. Poi se quel potere – gestito in modo ottuso, spregiudicato – è nelle mani di persone incapaci, la cosa rischia di essere detonante, esplosiva. I temi in fondo non cambiano mai: la stupidità del potere, la diseguaglianza e le miserie umane. Anche se in realtà io credo che – grazie a Dio – quegli equilibri nella storia della nostra città siano stati rotti da tempo.

Ecco, Cagliari. Quali sono le corrispondenze tra la città del 1905 che racconta nel libro e quella del 2020?

Il romanzo è romanzo. Il romanzo deve essere interpretato dai lettori. Sono gli altri a dover dire cosa ci trovano, le assonanze, le differenze. Mi piacerebbe chiedere a chi ha letto il libro: dite voi cosa c’è di uguale e di diverso. Io ci ho scritto un romanzo, frutto di quattro anni di lavoro. Più in generale – e a qualsiasi latitudine – quello che mi dà fastidio è la gestione spregiudicata dell’amministrazione pubblica. Ma credo che fare un paragone tra le due città sia molto difficile. Quelli erano anni in cui Cagliari voleva rivendicare a pieno il titolo di capitale. Bacaredda fa costruire il Municipio di via Roma perché secondo lui la città doveva avere un suo monumento. Prima era a Castello, al Palazzo di città: un municipio che guardava al proprio ombelico. Il sindaco allora decise di trasferirlo in via Roma affinché guardasse il mare, con una grande apertura verso l’esterno. In quegli anni si discuteva addirittura se far diventare il Poetto la città estiva di Cagliari al posto di Giorgino. Oggi è del tutto naturale, ma all’epoca c’erano polemiche feroci.

Uno scrittore a cui è molto legato anche per ragioni umane, Giorgio Todde, ha ambientato la saga di Efisio Marini in una Cagliari di pochi anni precedente a quella di Clara Simon. Ha avuto modo di confrontarsi con quei romanzi?

Certo che sì. Escludendo il fatto che c’era un forte legame dettato da una grande amicizia, ho tenuto presenti le sue opere e in particolare modo la saga di Marini. I romanzi di Giorgio si svolgono negli anni precedenti: un contesto storico diverso, seppur distanziato di pochi anni. L’amministrazione Bacaredda fa la differenza e il nuovo secolo cambia un po’ le prospettive. Devo confessarti che nella preparazione del romanzo sia io che Grazia ci siamo letti tutta la saga e a un certo punto mi sono detto: vabbè, non lo scrivo più, non raggiungerò mai quel livello. Poi ho pensato: non posso né scimmiottare Giorgio né avvicinarmi a lui, allora cerco di fare il mio tenendo conto anche della sua lezione. Il Poetto disabitato, le saline, la Marina, Castello, Sant’Elia che mi serviva per collocare il Lazzaretto che poi ha avuto un ruolo importante nella narrazione. In generale preparare questo libro ha comportato leggere una marea di roba. In coda al romanzo c’è una bibliografia corposa. Lo scrittore non smette mai di essere lettore.

Il finale è aperto e lascia intendere chiaramente che ci sarà un seguito. Ha già pensato a un ciclo narrativo in più capitoli?

Mi affido ai lettori. Saranno loro a decidere che vita avrà Clara Simon. Un personaggio va avanti se c’è il gradimento dei lettori. Io so tutta la vita di Clara. Anche il giorno della sua morte, che ho già fissato in un momento molto specifico della vita della città. Questo ci permetterà di compiere un lungo arco narrativo sia del personaggio sia dei luoghi della città. Ma dipenderà da lettori, se avranno piacere di continuare a leggere.

Ma in definitiva… Clara Simon è o non è la bisnonna di Rudy Saporito?

(Ride). E questo non lo posso ancora dire.

Andrea Tramonte

(Foto di Daniela Zedda)

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