Tre donne e quelle estati nella costa: arriva il nuovo romanzo di Elvira Serra

Lulù e Marianna sono due donne in conflitto da sempre. Almeno così le vede Chiara, che della prima è nipote e della seconda è figlia, e si trova in mezzo a un rapporto segnato da una distanza profonda alla quale non è in grado di dare un nome. Né di colmare. C’è “qualcosa in sospeso, di inconfessabile per forza, che non poteva esaurirsi nelle liti leggendarie di cui mi parlavano le rare volte in cui erano disposte a farlo, separatamente”. Da una parte il risentimento della madre nei confronti di Lulù, un’insofferenza sempre sul punto di esplodere in rabbia; e dall’altra i non detti della nonna, quell’indulgenza all’apparenza un po’ passiva, forse frutto della sua “attitudine a lasciare che la corrente portasse via tutti i malumori, che ammorbidisse con il suo andare gentile ogni increspatura del corpo e dello spirito”. Di fronte a questo Chiara – che vediamo prima bambina, poi adolescente e infine donna sulla soglia dell’età adulta – vorrebbe fare qualcosa. Sente che forse avrebbe dovuto mettere più impegno nel cercar di creare armonia tra loro, le donne più importanti della sua vita. “Magari alleggerendo, smussando. Provando a farle incontrare nel territorio tutt’altro che neutro del loro amore per me”.

La storia di tre donne, condizionata da una “spirale di omissioni e mezze verità”, è al centro de “Le stelle di Capo Gelsomino” (Solferino Editore, in libreria da oggi), terzo romanzo di Elvira Serra (nella foto di Daniela Zedda), giornalista e scrittrice nata a Nuoro 47 anni fa. L’autrice la conduce con passo sicuro e una levità che rappresenta la cifra distintiva dell’opera: anche quando il dolore potrebbe diventare più acuto la scrittrice sceglie di gestirlo in modo delicato e di temperare il dramma attraverso la dolcezza. Una storia intima che si svolge sullo sfondo, tra l’altro, di una Sardegna dal sapore dolce del fico d’india e dall’aroma dell’eucalipto, nel luogo delle estati spensierate di Chiara insieme alla nonna. Un romanzo che parla di maternità, di difficoltà nei rapporti familiari e di radici.

L’opera si apre con la scena di un litigio quasi mitologico, quando Lulù, esasperata dalle impertinenze della figlia, lancia un coltello nella sua direzione. Lo sguardo di Chiara bambina è quasi divertito. Non capisce le implicazioni terribili di quel gesto – una donna che scaglia una lama contro la figlia, rischiando di ucciderla – e ignora totalmente le dinamiche che hanno condotto a una simile esasperazione. Così come ignorerà a lungo, fino al compimento del suo diciottesimo compleanno, il segreto che è all’origine di quei silenzi e di quelle recriminazioni, in grado – con la sua potenza – di deteriorare ulteriormente ogni legame. Lulù è un’ostetrica che vive in una villetta al mare nella costa orientale sarda a un’ora da Olbia, Marianna una ginecologa di fama internazionale di base a Milano. Sono “come il giorno e la notte, la scienza applicata e l’esperienza diretta portate all’antitesi estrema. Nessuna mediazione: eppure si sarebbero potute dire complementari”. Il rapporto con entrambe è fondamentale, così come lo è quello col padre e col nonno Vittorio, con la loro dolcezza, la loro premura. Alla madre in particolare deve il rigore e la determinazione nell’affrontare le prove della sua vita, alla nonna la “disinvoltura con cui disimparava quel metodo”.

Con Lulù il rapporto è “allegro ed esclusivo”, di complicità profonda. Insieme parlano un “linguaggio misterioso affinato negli anni” e condividono “interminabili abbracci e lunghe risatine, come se custodissero segreti inviolabili”. La madre “non aveva mai tempo” ma è a lei che deve l’amore per la lettura: “La maggior parte dei romanzi che hanno formato la mia adolescenza venivano da un suo suggerimento”. Ed è Lulu invece a regalarle il primo quaderno a righe con la copertina rossa, con una indicazione tassativa: “È per scrivere”, le dice, e quella “sua esortazione era già più di una intuizione, era una divinazione, la sapienza dell’amore che riesce a vedere lontano, oltre il futuro che non mi azzardavo nemmeno a immaginare”. Quel quaderno sarebbe diventato una sorta di “pozzo magico di ricordi, dove avrei potuto ritrovare Lulù in ogni momento (…). Sognavo che un giorno mia madre potesse leggerlo e riuscisse per una volta a vedere la nonna con i miei occhi, riconoscendo finalmente i tratti bizzarri e magici del suo carattere”. È per questo che alla fine Chiara diventa una scrittrice. E che deciderà di scrivere la loro storia, “la storia di tre donne che si appartengono, ma non lo sanno”.

Con Elvira Serra abbiamo fatto volentieri una chiacchierata al telefono. Perché nelle pieghe di un testo c’è sempre un pezzetto di sé. Un tratto autobiografico, un passaggio identitario. Il bisogno di trasferire nei libri certi propri vissuti, e non necessariamente traumatici. La giornalista non solo lo conferma, ma limpidamente spiega come si è regalata ai lettori.

Il romanzo inizia a crescere dentro di lei in un periodo in cui ha cercato di rallentare da un punto di vista professionale. Perché ha sentito l’esigenza di scrivere proprio questa storia?

Uno non sceglie che cosa raccontare. Sente che si sta muovendo qualcosa dentro e nel mio caso la storia era questa. Avevo però bisogno di rallentare per poter scrivere. Per più di cinque anni ho curato la rubrica di attualità su F, La forza delle donne: significa che ogni settimana dovevo proporre un numero significativo di spunti da sviluppare, anche quando ero in vacanza. Se a questo si aggiunge il mio principale lavoro quotidiano al Corriere della Sera, il quadro diventa molto impegnativo. Mi serviva spazio mentale per fare respirare la storia che stava crescendo in me.

Ha scritto che il libro è un omaggio a sua madre ostetrica. In che modo la sua figura è stata uno spunto per il romanzo?

Di sicuro ha ispirato il personaggio di Lulù, la nonna di Chiara. Mia madre è ostetrica e quando si è trattato di raccontare nel romanzo le cose che faceva Lulù nel suo lavoro è stato sufficiente chiedere a mia madre qualche aneddoto della sua lunga esperienza. Poi ho sfruttato molti episodi della mia infanzia, riveduti e corretti per le esigenze della narrazione.

Nel libro racconta le difficoltà del rapporto madre-figlia. Che rapporto ha con sua madre?

Penso che il rapporto madre-figlia sia molto delicato e importante per ogni donna. Da nostra madre abbiamo bisogno di emanciparci e anche di scontarci con lei. È necessario e salutare, per affermare la propria identità. Senza pensare a un rapporto tumultuoso come è quello che ho immaginato tra Lulù e sua figlia Marianna, naturalmente, che però mi era utile per esprimere stati d’animo molto forti e complessi.

E lei che figlia pensa di essere stata? Si riconosce in Chiara?

Dovresti chiederlo a mia madre! Penso di essere stata una brava figlia, non le ho dato troppe preoccupazioni… Oggi riesco a guardare mia madre con gli occhi di Chiara, qualche altra volta sono stata meno indulgente.

Lulù e Marianna rappresentano due mondi diametralmente opposti. È possibile che le differenze caratteriali siano anche, in qualche modo, “geografiche” e culturali?

Lulù e Marianna sono diverse, ma Chiara ha bisogno di entrambe. Impara qualcosa da ognuna di loro. Non ho pensato a una distinzione caratteriale geografica: non dimentichiamoci che Marianna vive in Sardegna fino a quando va all’università. E lei era esigente e competitiva anche da ragazzina. Lulù potrebbe sembrare svagata, ma è molto affidabile e precisa nel suo lavoro di ostetrica. Il padre di Chiara, che è milanese, lavora anche lui molto, ma ha un tratto di dolcezza che Marianna non ha. Quindi, no, le differenze caratteriali non sono anche geografiche.

Capo Gelsomino è un luogo inventato che richiama Capo Comino a Siniscola, dove ha trascorso molti anni della sua vita. Quali sono i ricordi legati alla sua infanzia trascorsa lì?

Sono molto legata a quel luogo, che per me è magico. Ho accumulato tantissimi ricordi, non tutti belli. Ma è il luogo che per me rappresenta la spensieratezza, la libertà, la vacanza, i profumi della Sardegna, il mare, il cielo e, naturalmente, le stelle!.

Poi c’è la questione delle radici. Le difficoltà di Marianna sembrano derivare da un rapporto particolarmente complesso col tema dell’origine. In tutto il romanzo, invece, cresce una nuova consapevolezza da parte Chiara. Qual è il suo rapporto con le radici invece?

Nell’attaccamento di Chiara alle origini sarde mi ritrovo completamente. Per Marianna il discorso è più complicato: non si è mai riconosciuta pienamente nella sua famiglia, è sempre stata un tipo solitario, ha scelto lei quella dimensione che le ha fatto vivere un rapporto con la Sardegna molto conflittuale.

La storia delle tre donne è condizionata da una “spirale di omissioni e mezze verità”, mentre la ricomposizione passa attraverso un libro che racconta la verità. Il potere della scrittura in questo caso è terapeutico.

Chiara riesce a riprendere per mano sua madre e sua nonna proprio grazie alla scrittura, cercando e raccontando la verità. È questo che ricompone il cerchio familiare: la verità guarisce tutto.

Andrea Tramonte

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