Quella volta che Ulassai entrò al Maxxi di Roma. ‘Cuore mio’, le performance dedicate a Maria Lai diventano un libro

di Andrea Tramonte

Il cartello stradale di Ulassai ha fatto il suo ingresso nel 2019 in uno degli spazi più importanti dell’arte contemporanea in Italia, il Maxxi di Roma. Lo reggevano in modo solenne due addetti alla sicurezza del museo. Una specie di installazione vivente, una scultura (anche di carne) che rappresentava – nella sua apparente semplicità – una immagine potentissima: il legame profondo, quasi l’identificazione, tra la comunità del piccolo paese ogliastrino e Maria Lai, di cui allora si inaugurava una retrospettiva in occasione del centenario dalla nascita. Le zolle della terra sarda “sporcavano” il pavimento del museo e introducevano alle opere della ‘jana’, in un percorso espositivo che ne celebrava l’importanza assoluta in un periodo in cui a livello internazionale critici, curatori e collezionisti si erano definitivamente accorti del suo valore. 

Il progetto rientrava in una serie di iniziative dedicate all’artista ogliastrina, a partire da Legarsi alla montagna: considerato il primo esempio di arte relazionale a livello globale, la performance di Maria Lai aveva unito la comunità di Ulassai – le persone alle vie e alle porte delle case – attraverso 27 chilometri di stoffa celeste fino al ‘tacco’ che domina il paese. Il progetto del 2019 – curato dall’allora direttore della Stazione dell’arte, Davide Mariani – ha visto all’opera Marcello Maloberti, artista originario di Codogno che è stato coinvolto dal museo per confrontarsi con l’opera di Maria Lai e dare vita a una nuova operazione artistica corale. Una serie di performance e interventi artisti che ora sono diventati un libro: Cuore mio (Treccani), che verrà presentato oggi alle 18 nella sede cagliaritana della Fondazione di Sardegna insieme all’artista, a Mariani, al direttore generale dell’Istituto Treccani, Massimo Bray, e al presidente della Fondazione, Giacomo Spissu

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“Questo libro rappresenta l’epilogo di quel progetto sviluppato nel corso del 2019 – racconta Mariani – . Ero diventato direttore della Stazione dell’arte da poco e avevo avvertito fin da subito la responsabilità di celebrare Maria Lai attraverso i momenti più significativi del suo percorso artistico, come Legarsi alla montagna. Volevo recuperare l’eredità di quello che aveva creato e lasciato in eredità”. Maloberti viene identificato come l’artista che – per affinità e sensibilità – potesse farsi interprete di una nuova azione artistica partecipata nel paese di Ulassai. “All’inizio era spaventato – racconta l’ex direttore del museo -. Il confronto non era affatto semplice. Entrambi avevamo ben chiaro in mente che l’opera non dovesse emulare la performance dell’81, non dovesse essere un semplice remake”. Iniziano così i sopralluoghi e l’artista – di stanza a Milano – visita il paese, conosce diversi abitanti, fa visita alla tomba di Maria Lai. “Non l’aveva mai conosciuta però ha sentito una fortissima affinità con lei, l’ha identificata quasi come una parente”.  

In quel momento il Maxxi stava preparando la retrospettiva dedicata a Maria Lai ed è nata una collaborazione tra i due musei. A Maloberti viene l’idea di trasportare il cartello stradale di Ulassai a Roma. “Mi ricorderò sempre la faccia del sindaco – racconta divertito Mariani -. Pensavo che ci avrebbe presi per matti. E invece l’amministrazione era entusiasta del progetto. Bisogna rendergliene merito. Un po’ come successo nell’81, quando l’idea era quella di affidare a Maria Lai un monumento ai caduti ma lei si impose perché voleva creare un monumento ai vivi: anche allora l’amministrazione fu lungimirante e le diede carta bianca”. 

Metaforicamente il paese si trasferiva a Roma – una città alla quale Maria Lai era profondamente legata – e il cartello stradale mostrava una profonda identificazione di Ulassai con le opere della sua artista di riferimento. “Era anche il segno di come la comunità non guardasse più con sospetto alla sua arte. Nell’81 il paese non era avvezzo alle sperimentazioni dell’arte contemporanea. Era stata presa per matta. Gli abitanti non hanno capito subito ma lei è riuscita a instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione nel corso del tempo. Il cartello rappresentava questa unione, un legame profondo, di rispetto”. Il cartello poi è rientrato a Ulassai e Maloberti ha scelto di collocarlo in orizzontale sulla roccia della montagna che 40 anni prima era stata legata al paese col nastro celeste. Un simbolo diventato fin da subito molto potente e riconosciuto dagli abitanti. “Non era così scontato per un’opera di arte pubblica – dice Mariani -, quando cioè l’arte esce dagli spazi a lei normalmente deputati e trova una dimensione quotidiana. Il cartello ora è una icona del paese, meta di pellegrinaggio”. L’artista poi ha reinterpretato il tema della stoffa usando una tovaglia a quadretti rossa e bianca, tipica delle trattorie italiane, invitando la popolazione a reggere il drappo con un serpentone di persone che ha animato il centro storico tra gli spazi ai quali Maria Lai era più legata. E poi una grande festa con Circus, una delle opere più rappresentative di Maloberti. “Una specie di disco ball che si attiva con le persone, una sorta di festa abusiva all’interno di un tendone dove vengono collocati centinaia di specchi e ai lati quattro macchine con i fari puntati da cui esce musica a palla. L’arte diventa un dispositivo di festa, energia e socializzazione”.

Il libro racchiude tutti questi momenti, con saggi, interviste e fotografie. Il titolo prende spunto da un racconto di Salvatore Cambosu contenuto nella sua celebre raccolta, Miele amaro. Racconta di una donna di nome Maria che si trasforma in pietra per salvare il figlio. “Un racconto di redenzione, attraverso la trasformazione della donna in roccia, qualcosa che rimane. Cuore mio è il cuore di Maria Lai, è montagna, è roccia”. 

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