Teulada, militari indagati per disastro ambientale: rinvio a giugno, la difesa prende tempo

Alessandra Carta

di Alessandra Carta

L’udienza preliminare è cominciata, regolarmente. Ma davanti al gup Giuseppe Pintori, chiamato a decidere sul rinvio a giudici di cinque capi militari accusati di disastro ambientale per i veleni a Teulada, non è successo nulla di sostanziale: tutto è rinviato al 10 giugno.

A prendere tempo sono state le difese di Giuseppe Valotto, Claudio Graziano, Danilo Errico, Domenico Rossi e Sandro Santroni che, a vario titolo, dal 2009 al 2015, hanno guidato lo Stato maggiore dell’Esercito o il Comando della Sardegna. Posizioni di responsabilità, anche sotto il profilo penale, per via della mancata applicazione del decreto 87/2010, ciò che avrebbe evitato di trasformare la famigerata Penisola Delta, 2,8 chilometri quadrati di estensione, in una terra di nessuno. Chiusa alla sosta e al transito per via dell’inquinamento “irreversibile”.

Gli effetti dei giochi di guerra a Teulada hanno impiegato una decina d’anni ad approdare in un’aula di tribunale. Era il 2012 quando a Teulada hanno cominciato a cercare giustizia chi è sopravvissuto al tumore. O i familiari di quanti non ce l’hanno fatta. Solo lo scorso agosto la svolta: la gip Maria Alessandra Tedde ha imposto al pm Emanuele Secci l’imputazione coatta dei cinque capi militari, respingendo la richiesta di archiviazione sollecitata dallo stesso pubblico ministero.

La vittoria è stata storica per gli avvocati Giacomo Doglio, Roberto Peara, Gianfranco Sollai e Caterina Usala. Che oggi, tuttavia, non hanno potuto essere davanti al gup, perché la legge italiana riconosce come persone offese nel disastro ambientale solo le parti pubbliche. O le associazioni. Ma non i cittadini. Resta il fatto che oggi, all’apertura dell’udienza preliminare, la difese hanno chiesto tempo per esaminare le costituzioni di parte civile. L’avvocato di tutti i cinque capi militari è Guido Manca Bitti che solo per Graziano sta lavorando in tandem con Luigi Vincenzo del Foro di Roma.

Ai legali degli indagati il Gup ha dato un mese e spiccioli di tempo per guardare le carte. Poi si entrerà nel vivo dell’eventuale responsabilità penale, ma non è detto che la decisione sul rinvio a giudizio (o meno) arrivi già il 10 giugno. Ci potrebbe volere più di un’udienza per chiudere il secondo round di una querelle dove lo Stato si trova in una stramba posizione: è insieme parte offesa e datore di lavoro dei capi militari sotto accusa.

Nella Penisola Delta interdetta è stato sparato di tutto negli anni. Razzi, munizioni di vario genere e bombe. Una pioggia di piombo (e non solo) quantificata in 556 tonnellate, pari a 686mila colpi. Tutto lì, rimasto nella terra mai bonificata, trofeo di quella Difesa nazionale che il Pm aveva definito necessaria e imprescindibilenella richiesta di archiviazione, ma che la Gip ha respinto nove mesi fa. Anche perché la bonifica, invece omessa o esigua, ha scritto la giudice per le indagini preliminari, non sarebbe stata alternativa ai giochi di guerra, ma complementare. La salvaguardia ambientale, sempre stando alla Gip, non avrebbe in alcun modo inficiato la necessità di garantire la tutela nazionale attraverso le esercitazioni.

Il capo d’imputazione del disastro ambientale è solo una parte della questione giudiziaria. Ancora tutta la definire è l’eventuale correlazione tra l’inquinamento accertato e i tumori. Ad agosto 2021, la Gip ha anche disposto un supplemento di verifiche da affidare ai periti che dovrà nominare il Pm. In questo filone dell’inchiesta i reati ipotizzati sono sono omicidio e lesioni colposi plurimi. I miliari sotto accusa scendono da cinque a quattro. Già archiavata la posizione di Graziano che non ricopriva alcun incarico nel periodo temporale oggetto dell’indagine.

Alessandra Carta

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