Disastro ambientale a Teulada, 5 militari rischiano il processo: tutti dal Gup il 6 maggio

Alessandra Carta

Si apre il 6 maggio a Cagliari l’udienza preliminare sul presunto disastro ambientale di cui sono chiamati a rispondere cinque capi militari. Il faldone non è roba qualunque, ma la prima imputazione sui veleni nel poligono di Teulada, un traguardo storico raggiunto dagli avvocati Giacomo Doglio, Roberto PearaGianfranco Sollai e Caterina Usala.

L’accusa del disastro innominato aggravato è relativa a 2,8 chilometri quadrati di base militare, la famigerata Penisola Delta, “irreversibilmente inquinata“, come certificato dal pm Emanuele Secci, tanto da essere interdetta al transito e alla sosta. Basta qualche numero: solo dal 2008 al 2016 lì sono stati sparati 686mila colpi. Tra artiglieria pesante, missili e razzi. Quella era una zona bersaglio, ma non è stata mai bonificata, malgrado la sua tutela sia sancita dal decreto 87 firmato nel 2010 dal ministero della Difesa.

Per questo i cinque capi militari rischiano il processo, un sentiero giudiziario che gli avvocati Doglio, Peara, Sollai e Usala hanno costruito con le difese a quegli abitanti di Teulada passati attraverso il calvario del tumore (anche se non tutti ce l’hanno fatta a sopravvivere alla malattia). Lo scorso agosto il più clamoroso dei risultati: la gip Maria Alessandra Tedde ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Secci, a sua volta obbligato dalla giudice per le indagini preliminari a formulare l’accusa di disastro ambientale su cui il gup Giuseppe Pintori è adesso chiamato a decidere.

Nella prima impostazione accusatoria costruita dal pm Secci si era colta tutta la complessità della questione giudiziaria, non spuria da contraddizioni: il magistrato inquirente aveva sì riconosciuto “l’inquinamento irreversibile”, ma anche la non imputabilità degli indagati perché le esercitazioni nella Penisola Delta erano “necessarie e imprescindibili per assicurare la corretta preparazione tecnica e psicologica del personale militare“. E siccome l’addestramento viene fatto per conto della Difesa, ecco il paradosso di vedere lo Stato parte lesa nel disastro ambientale, ma anche datore di lavoro dei militari sotto accusa.

In base al decreto 87/2010, i capiti militari indagati avrebbero dovuto seguire precise “procedure di stoccaggio, recupero e smaltimento dei rifiuti” derivanti dalle esercitazioni. Il testo normativo indica anche “i doveri concernenti la bonifica”, ma sui quali si sono ugualmente registrate le inadempienze. Sotto accusa ci sono Giuseppe Valotto, capo di Stato maggiore dell’Esercito dal 2009 al 2011; Claudio Graziano, il successore, in carica dal 2011 al 2015; Danilo Errico, capo del 3° Reparto Rif dal 2008 al 2013; Domenico Rossi, sottocapo di Stato maggiore dal 2010 al 2013; Sandro Santroni, comandante dell’Esercito in Sardegna sino a ottobre 2010.

Nella Penisola Delta il grado di inquinamento è una sequenza di emergenze. Si va dal “mutamento grave della morfologia del territorio”, al “deterioramento” e alla “compromissione di porzioni di suolo” passando per “l’alterazione dell’equilibrio degli ecosistemi”. L’asticella ambientale è stata talmente superata che la Difesa ha deciso di lasciare tutto com’è, perché la bonifica sarebbe possibile solo attraverso “misure particolarmente onerose”, tra cui “la cessazione delle esercitazioni”. Invece a Teulada ci vanno i soldati di mezza Europa a sparare di tutto, per fare prove di guerra.

Il prossimo 6 maggio, però, gli avvocati Doglio, Peara, Sollai e Usala non potranno essere davanti al gip Pintori. Malgrado l’imputazione dei cinque capi militari sia merito loro, la legge italiana riconosce come “persona offesa” nel disastro ambientale solo la parte pubblica che ha funzioni di tutela dell’ecosistema. Quindi, come detto, lo Stato, insieme a Regione e Comune.

Per vedere i malati di tumore pieni protagonisti di un eventuale processo a garanzia della loro salute, bisognerà attendere il filone due dell’inchiesta, quello sulla correlazione tra l’inquinamento accertato e i casi di tumore registrati a Teulada. Una “correlazione che non va esclusa a priori“, ha scritto la gip Tedde nella sua ordinanza di nove mesi fa. Ma su questo fronte la Procura deve ancora dare l’incarico ai consulenti. Le accuse ipotizzate sono omicidio e lesioni colposi plurimi.

Anche sul punto dei possibili legami tra bombe e malattia, tra cancro e prove di guerra, sarà il Pm a mettere sotto la lente il supplemento di esami sollecitati dalla Gip. Da questo secondo filone investigativo è già uscito il generale Graziano, in quanto il suo mandato al poligono di Teulada è successivo alla fascia temporale oggetto dell’inchiesta.

Alessandra Carta

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