La rivelazione del commissario-scrittore: “Cagliari ebbe un questore-ladro”

E un brutto giorno alla questura di Cagliari, capoluogo della Sardegna, arrivò un questore-ladro. Durò poco – e infatti pochissimi, e solo tra gli addetti ai lavori ne ricordano il nome – ma fece un bel po’ di danni. Era l’inizio degli anni Settanta. Momento molto complesso: per l’ordine pubblico – anche in Sardegna erano frequenti gli scontri di piazza – e per la lotta alla criminalità tradizionale – si consolidava il mito di Graziano Mesina.

La notizia del questore-ladro non raggiunse mai le cronache dei giornali. Restò nascosta. Sarebbe stato troppo imbarazzante se si fosse diffusa. Avrebbe fatto male alla già fragile credibilità delle istituzioni più che al diretto interessato. Il problema fu risolto per vie interne. Senza clamori. Da un giorno all’altro il questore, scoperto con la mani nel sacco, scomparve. Un normale trasferimento, ufficialmente.

Quarant’anni dopo la notizia è emersa. In un modo inaspettato. Non dai fascicoli di un archivio ministeriale, nemmeno dal racconto di una delle vittime. E’ emersa in un romanzo scritto da uno dei dirigenti di polizia che assistettero a quella imbarazzante vicenda: Gianni Pesce, oggi vigoroso settantacinquenne dai mille interessi (non solo scrive, e bene, ma va a vela e disegna gioielli), all’epoca comandante di un commissariato di frontiera, quello del quartiere periferico di is Mirrionis.

Pesce ha creato un personaggio – il commissario Mari – che gli somiglia molto: inflessibile, onesto, idealista. E romano. In perenne polemica con le mezze maniche e i burocrati, sempre in prima linea a rischiare di persona. L’editrice Condaghes ha pubblicato due libri di storie del commissario Mari: un romanzo – Giusto e Ingiusto – e una raccolta: Mesineddu e altri racconti.

libro commissario pesce

Pesce racconta storie realmente accadute. A volte le trasfigura un po’. Ma si tratta di storie vere. Tanto che, nel leggerle, chi
ha memoria delle cronache di quell’epoca le riconosce. Alla storia del ‘questore ladro’ è dedicato un intero capitolo di Giusto e ingiusto intitolato “Di bene in peggio”. Dove il peggio è il questore “ladro”, il “bene”‘ è il suo predecessore, un funzionario integerrimo, un signore d’altri tempi.

Venerdì scorso Gianni Pesce ha parlato dei suoi romanzi in un incontro che si è tenuto a Cagliari nella sede dell’associazione Asibiri – per l’ecologia dell’informazione. Per il numeroso pubblico è stato un autentico tuffo negli anni Settanta, anche grazie alle straordinarie foto presentate da Daniele Longoni. Con la sorpresa della conferma integrale della veridicità della storia del questore-ladro. Del quale, quarant’anni dopo, il commissario-scrittore parla con toni ancora indignati.

Un “cazzabubbolo”, in romanesco. Cioè un individuo che, stando alla definizione di Gioacchino Belli, “nella scala delle categorie umane occupa l’ultimo posto”. Arrogante, presuntuoso, volgare, subito dopo aver messo piede in questura sottrasse la scrivania dall’ufficio di un altro dirigente e la fece trasferire nel suo. Un capriccio innocuo, rispetto al seguito.

“Il vicequestore – racconta Gianni Pesce nel libro – era tra le sue vittime più tartassate. L’epiteto meno scurrile che risuonava a suo carico era : “Sei uno stronzo!”. Un giorno il questore gli delegò l’acquisto di un’ intera partita di formaggio sardo. “La forte somma era stata pagata dal vicario che aveva anche provveduto alla spedizione. Quando però aveva chiesto di essere rimborsato, non era stato neppure degnato di una risposta”.

“il dottor Novelli (questo il nome di fantasia attribuito al questore-ladro nel romanzo) aveva rapinato persino il suo autista al quale, in occasione della visita di alcuni suoi amici, aveva ordinato di portare nel suo alloggio un certo numero di pizze. All’agente, che aveva acquistato tutto a sue spese al prezzo unitario di duemila lire, aveva risposto perentorio: ‘Per il tuo questore, cinquecento lire a pizza!’ E aveva chiuso il discorso lasciando che la differenza fosse a carico del dipendente”.

Un cazzabubbolo, appunto. Uno che la volta che andò in visita nel commissariato diretto da Pesce, notò solo un  vecchio filo elettrico che pendeva dal soffitto. In quel commissariato di frontiera, dove un dirigente e un pugno di agenti combattevano tutti i giorni contro la criminalità organizzata, al questore importava solo di quel filo che offendeva il suo senso estetico. Pesce fu addirittura chiamato a rapporto. “Come ti sei permesso di ricevere il questore in un ambiente così disordinato?”. La risposta del commissario fu di una durezza tale da lasciare il questore senza parole. Pochi giorni dopo arrivò la ‘vendetta’: l’incarico di gestire in solitudine una situazione complicatissima di ordine pubblico. Una trappola pericolosa organizzata da un superiore contro un subordinato. Disgustoso. Pesce, comunque, riuscì a cavarsela anche quella volta.

Non la fece franca, invece, il questore-ladro qualche tempo dopo. Quando, invitato all’inaugurazione di un negozio, scelse una decina di tappeti persiani e chiese che gli fossero recapitati a casa. Ordinando allo stesso vicequestore che era già rimasto fregato con l’ordinazione dei formaggi di provvedere al pagamento. Questi non ripeté l’errore. Si limitò a fornire al negoziante l’indirizzo del questore.

Trascorso qualche tempo, il commerciante chiese d’essere pagato. Mai l’avesse fatto! Il questore gli rispose che quei tappeti erano un “doveroso omaggio” alla sua autorità e che dunque non si azzardasse a chiedergli del denaro. Anche perché il suo negozio era soggetto a licenza dell’autorità di polizia. Cioè dello stesso questore. E, insomma, se avesse insistito avrebbe seriamente rischiato di perdere la licenza e di andare in rovina.

Il commerciante se ne andò con la coda tra le gambe. Ma poi si consultò con un amico avvocato e, assieme andarono dal procuratore della Repubblica, Giuseppe Villa Santa. Che raccolse informazioni sul questore e si convinse che il racconto del commerciante era vero. Prese il telefono e chiamò il ministro dell’Interno. Poche parole: “O trasferite subito questo personaggio, o lo arresto”. Il giorno stesso il questore-ladro lasciò Cagliari.

Nicolò Businco

 

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