Cassazione, condanna confermata per il prof che molestava le studentesse

Confermati, dalla Cassazione, dieci anni di reclusione per concussione e violenza sessuale nei confronti delle sue studentesse minorenni di un istituto magistrale di Cagliari, per il professor Marcello Melis che dal 2004 al 2009 dava lezioni individuali di matematica nel pomeriggio a casa sua e a scuola nell’ambito del progetto ‘Sportello didattico’ del liceo ‘Eleonora d’Arborea’ molestando le ragazze in cambio di voti alti e sotto la minaccia di mostrare ai genitori le foto che scattava durante gli incontri.

La Suprema Corte ha infatti respinto il ricorso del docente cinquantenne, condannato in primo grado nel settembre del 2015, che sosteneva di non aver coartato la volontà delle ragazzine che, secondo i suoi legali, sceglievano liberamente di frequentare le lezioni per avere buoni voti. Ad avviso della Suprema Corte, “in base alle modalità seriali ed alla valutazione complessiva del compendio probatorio”, è “corretta la qualificazione giuridica dei fatti come concussione e non induzione indebita, avendo i giudici di merito ritenuto incomparabile la natura dei valori in gioco nel conflitto decisionale delle persone offese ed oggettiva la sproporzione di posizione tra il professore e quella di adolescenti immature, non in grado di disporre liberamente, consapevolmente ed in modo adulto della proprio sessualità”.

“Specie tenuto conto – sottolineano gli ‘ermellini’ nel verdetto 13980 depositato oggi, udienza dello scorso 15 febbraio – che il consenso delle alunne era viziato dalle blandizie del docente, scientemente utilizzate, e che il ricatto del voto e le minacce più pesanti sul piano personale, erano idonee a coartare la volontà delle vittime e costringerle ad assecondarne i desideri e le perversioni”. A denunciare Melis sono stati altri docenti del liceo, venuti a conoscenza delle violenze messe in atto tra il 2004 e il 2009, mentre le ragazze nel frattempo divenute maggiorenni non si sono costituite parte civile.

Per la Cassazione, correttamente “i giudici di merito hanno valutato le difficoltà delle vittime a riferire a distanza di anni fatti così gravi e considerato anche il silenzio serbato e le reticenze verso i professori, che le sollecitavano a denunciare, ma hanno escluso che tali comportamenti mascherassero accondiscendenza”.

“Piuttosto – prosegue il verdetto – erano frutto della paura del professore di rovinarle sul piano scolastico e dei ricatti odiosi di rovinarle sul piano personale, integranti l’abuso costrittivo, nonché delle minacce evocative di conoscenze tra poliziotti e avvocati che avrebbero garantito l’impunità del professore”, tutte circostanze che integravano lo stato di “assoggettamento” delle studentesse. A casa di Melis erano state trovate anche munizioni, materiale pornografico, manuali di seduzione psicologica, kit per set fotografici e per pratiche erotiche estreme.

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