Carandini (Fai): “Una generazione, poi il territorio perderà tutta la sua bellezza”

Fai, non solo una sigla, ma anche la voce del verbo fare. E in tanti oggi, a Cagliari, hanno fatto, presentandosi sin dal primo mattino alla giornata di lavori organizzata dal Fondo dell’Ambiente Italiano. Per provare a ripartire. Iniziando dal paesaggio.

Un appuntamento importante -che cade a pochi giorni da una delle più grande tragedie che hanno colpito l’Isola- il cui obiettivo è quello di definire un nuovo modello di sviluppo che tenga conto delle grandi potenzialità della Sardegna, non solo quelle più turistiche legate alle sue coste ma anche quelle più nascoste e meno conosciute.

Circa un migliaio le persone arrivate a partire dalle ore 9 (i lavori andranno avanti sino alle 18) negli spazi del teatro Massimo, talmente tante che gli organizzatori hanno dovuto chiudere gli ingressi. Sul palco a moderare gli incontri i giornalisti Gad Lerner e Pasquale Chessa.

 

In platea, assorta e attenta, anche Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente onoriario del Fai. “Quello che mi porto dentro pensando alla Sardegna è un grande dolore -racconta- il lutto di questi giorni mi ha molto colpito ma ora più che mai la Sardegna deve reagire. Partendo dalla terra, dall’agricoltura”.

E proprio la terra è il tema principale delle domande che Gad Lerner , col suo modo un po’ ruvido e diretto, pone ai vari ospiti che si alternano sul palco.  Invertire la tendenza, guadagnare dalla terra e non dalle pale eoliche, farla finita con i finanziamenti a pioggia e accedere regolarmente al credito. Queste le richieste di Bobore Bussa, imprenditore agricolo, di Fortunato Ladu, pastore, e di Alfonso Orefice, direttore generale dell’assessorato all’agricoltura.

Applaudito anche l’intervento di Antonio Marras, lo stilista che partito da Alghero ha reso bella la Sardegna nel mondo. “Lavoro con gli stracci, sull’isola nulla mi è stato regalato, io sono la prova provata che tutto nella vita può accadere”.

Applaudita e seguitissima anche la sessione pomeridiana degli incontri, coordinati da Paquale Chessa. Tra i suoi ospiti, sul palco, Maurizio De Pascale, presidente dell’Ance Sardegna, che ha parlato di inganno del mattone in termini di inganno terminologico. “Il vero inganno è che da troppi anni in Italia si fa speculazione sul terreno, e chi consuma il territorio non fa certo parte della categoria che io rappresento. I dati Istat parlano chiaro, abbiamo una caduta vertiginosa del Pil, che in Sardegna viaggia sui 20mila euro rispetto ai 35mila del resto del paese, una disoccupazione elevata, un incremento di ore di Cassa integrazione. Il nostro programma verte sul recupero dell’esistente, sul piano città, sul rilancio del mondo dell’edilizia in termini di riqualificazione. Il 75 per cento delle nostre case è stato costruito nel dopoguerra, con una gran parte di abitazioni in regime di degrado e potenziale crollo. L’obiettivo è recuperare, rigenerare, ma anche demolire laddove è necessario”.

E cosa dovrebbero fare i giovani davanti a questo scenario desolante, chiede Pasquale Chessa, si può pensare davvero di guadagnare puntando all’agricoltura? “Lascerei ai giovani le decisioni sul loro futuro, senza fare loro troppe pressioni -commenta De Pascale- ma di sicuro io partirei dalle scuole di quartiere, senza consumare territorio: l’edilizia scolastica è quella che ha maggior anni e che va sostituita”.

Finale di partita col presidente del Fai Andrea Carandini intervistato da Anthony Muroni, direttore dell’Unione Sarda e Andrea Filippo, direttore de La Nuova Sardegna.  “Noi non siamo un’associazione ambientalista, l’obiettivo del Fai è quello di curare luoghi speciali per sempre e per tutti. Danneggiare l’ambiente non è solo compiere un danno contro la natura ma contro noi stessi. In due generazioni l’Italia ha perso la maggior parte della sua bellezza, se aggiungiamo un’altra generazione in Italia non ci verrà più nessuno”.

Inevitabile la domanda sul piano paesaggistico regionale oggetto di contestazioni e feroci critiche. Carandini dribbla: “Un piano regolatore non è una realtà museale, perché il territorio è un organismo vivente, che gli uomini fanno vivere.  Non vogliamo museificare il territorio. Un piano paesaggistico deve avere regole venute dal passato, dalla tradizione e in grado di creare nuova storia. Oggi ci si riempie la bocca con la parola territorio, diventato una sorta di palcoscenico dove vengono rappresentati troppi spetttacoli. Territorio è sguardo, tutela, armonia, sapere, passione. Ce lo stiamo dimenticando. Ma come è possibile farci colonizzare dal Quatar e volere  costruire i parchi a tema in Sardegna? E’ come se volessero fare uno zoo in mezzo alla foresta”.

La chiusura è tutta dedicata all’isola di Budelli. E’ un bene che rimanga allo Stato o sarebbe meglio venderla e investire quei denari? “A me non importa di chi è la proprietà. L’importante è cosa si fa con quella proprietà. Guardo all’obiettivo. La situazione oggi è talmente disperata che anche misure impopolari possono diventare delle necessità. Se a Budelli rimmarranno tutti i suoi vincoli e sarà venduta, senza che sopra non ci costruiscano una reggia, a me va anche bene. Poi però con tutti quei milioni si investe sul territorio e si aiutano le popolazioni travolte dall’alluvione. Guardi, il mio sogno è molto semplice: vorrei che l’Italia diventasse un paese decente. Mi hanno detto che era un sogno molto piccolo, ma  a me basta così”.

Donatella Percivale

 

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