Uno stesso numero di fattura usato due volte. Ma anche ricevute “corrette negli importi”. Era anche questo il “sistema Pdl“ che sta emergendo nel processo contro Mario Diana, l’ex capogruppo accusato di peculato aggravato per una somma che si aggira sui 250mila euro. Ne ha parlato in tribunale Riccardo Cogoni, l’imprenditore cagliaritano citato come teste. L’inchiesta è quella notissima sui fondi ai gruppi, ovvero le presunte spese pazze in Consiglio regionale e che nel caso di Diana sono relative alla legisaltura 200p-2014.
Nel tribunale di Cagliari, dove oggi c’è stata una nuova udienza davanti al giudice Claudio Gatti, è stato il pm Marco Cocco a chiedere conto delle fatture duplicate, a indicare uno stesso numero di pagamento usato due volte. Ma, come risulta agli atti e anche nella stessa ordinanza che portò Diana all’arresto, i fornitori indicati erano differenti.
Questo metodo, sempre stando all’accusa, altro non era che falsa fatturazione: per il pubblico ministero, la duplicazione delle ricevute era funzionale solo a produrre pezze giustificative da allegare al bilancio del gruppo in modo da giustificare l’utilizzo dei fondi ai gruppi. Fondi che per la Procura di Cagliari non venivano destinati all’attività politica, ma assegnati ai consiglieri regionali come paghetta aggiuntiva. Di qui gli usi illeciti emersi dal lavoro polizia giudiziaria, come nel caso del banchetto di nozze dell’ex consigliere Carlo Sanjust o dei libri antichi e delle Montblanc che avrebbe comprato Diana.
Cogoni è stato citato come teste insieme a Sanjust e agli altri due pidiellini Onorio Petrini e Sisinnio Piras.
Sanjust e Petrini, condannati rispettivamente a tre anni e a due anni e quattro mersi, si sono avvalsi però della facoltà di non rispondere, visto che hanno ricevuto un avviso di garanzia per reati connessi. Nel caso specifico di Sanjust, difeso dagli avvocati Carlo Amat e Francesco Marongiu, la Procura ha aperto una nuova indagine aperta per truffa ai danni del Pdl. Il legale di Petrini è invece Giancarlo Mereu.
E se a Piras, difeso dall’avvocato Guido Manca Bitti, né il pm né la difesa hanno fatto domande, sulla testimonianza di Cogoni è scoppiato un caso. A sollverla, il legale dell’imprenditore, Massimiliano Ravenna.
Tutto è nato dalle domande che il pm ha fatto a Cogoni, domande che “rappresentano un vero e proprio esame, non un controesame”, è stata l’obiezione di Ravenna accolta poi dal giudice. L’interrogatorio è stato sospeso. La decisione del giudice è stata accolta positivamente anche dalla difesa di Diana, in mano agli avvocati Mariano e Massimo Delogu.
Nelle poche domande che il pm ha fatto in tempo arivolgere a Cogoni, l’imprenditore ha detto anche di “non avere mai conosciuto Diana”. Poi ha spiegato che “le indicazioni sulle fatture” le riceveva “da Pusceddu”, riferendosi all’ex dipendente del gruppo Alessandro, citato anche lui come teste lo scorso autunno. E fu in quella occasione per la prima volta emerse il metodo Pdl. Cogoni ha comunque detto che “Pusceddu agiva in nome del Pdl, non per proprio conto”.
Il processo Diana prosegue il 5 febbraio, quando è fissato proprio l’esame dell’imputato che, una volta, attraverso il proprio legale Mariano Delogu, aveva spiegato di essere stato ingannato, per esempio da Sanjust. Il 26 febbraio saranno sentiti invece i testi citati dalla sola difesa.
Al. Car.
(@alessacart on Twitter)