Ex militare dell’Esercito assassinato: attesa l’udienza di convalida del fermo

Si terrà domani l’udienza per la convalida del fermo di Giancarlo Fonsatti, 55 anni, noto come Renato, fermato con l’accusa di omicidio volontario per aver ucciso con sette coltellate lo zio, Paolo Fonsatti, l’ex sottufficiale dell’Esercito di 73 anni trovato privo di vita mercoledì scorso nella sua casa nella borgata S’Ungrori ad Arborea, in provincia di Oristano. Davanti al Gip, Giancarlo, difeso dall’avvocato Carlo Figus, potrebbe fornire nuovi elementi dopo le dichiarazioni spontanee rilasciate ai carabinieri e alla pm nelle quali ha confessato il delitto. Il 55enne ha anche consentito agli investigatori di recuperare l’arma: un grosso coltello da cucina trovato sul fondale dello stagno di Santa Giusta, a circa 10 chilometri dalla casa teatro dell’omicidio.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Oristano, zio e nipote mercoledì dopo mezzogiorno hanno avuto una discussione perché l’ex sottufficiale non intendeva sottostare all’ennesima richiesta di denaro. Dalle testimonianze raccolte dagli investigatori emerge chiaramente la situazione di disagio in cui viveva Giancarlo: sempre più spesso chiedeva generi di prima necessità ma soprattutto soldi, che poi usava per comprare alcol e droga o per ‘placare’ la sua ludopatia, non solo allo zio ma anche agli altri parenti. Mercoledì il rifiuto dell’ex sottufficiale ha provocato la sua reazione violenta, poi finita nel sangue. Il 55enne si è accanito sul corpo dello zio con sette fendenti, quello mortale al petto. Si è poi allontanato a bordo della sua auto, raggiungendo lo stagno di Santa Giusta dove ha gettato il coltello usato per uccidere. Nel giro di pochi minuti è tornato nella casa del delitto. Non è chiaro cosa abbia fatto, ma dai rilievi del Ris emerge il tentativo di cancellare almeno in parte le prove, lavando il pavimento per nascondere le tracce ematiche. Infine la messinscena: Giancarlo Fonsatti è uscito dall’abitazione con ancora i vestiti sporchi di sangue, ha raggiunto il bar poco distante raccontando che lui e lo zio erano rimasti vittime di una rapina da parte di due persone con i volti coperti e accento straniero. Una versione che si è sgretolata quasi subito con i primi rilievi dei carabinieri e gli approfondimenti del Ris di Cagliari: nella casa infatti non c’erano tracce di altre persone, solo le impronte delle scarpe sporche di sangue che indossava il nipote. Da qui la confessione.

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