A Cagliari una piazza dedicata alle sigaraie e ai sanguinosi moti del 1906

L’11 maggio di 101 anni fa, di prima mattina, tre sigaraie che lavoravano alla Manifattura di Cagliari irrompevano al palazzo civico di Castello, dove era in corso una riunione della giunta, per parlare con il sindaco Ottone Bacaredda: chiedevano di abbassare i dazi comunali che rendevano insostenibile il costo dei beni di prima necessità. Alle sigaraie cagliaritane, che con queste richieste diedero origine ai sanguinosi moti popolari che nel maggio 1906 sconvolsero la città e l’Isola intera, sarà presto dedicata una piazza cittadina: è l’omaggio per ricordare la più ampia e significativa protesta popolare del Novecento in Sardegna.

“L’idea è quella di celebrare le sigaraie intitolando loro il giardino che sorgerà al centro di via Roma con i lavori di riqualificazione che partiranno a breve – ha spiegato Filippo Petrucci, consigliere comunale dei Rossomori che ha presentato la proposta al sindaco e alla giunta – quel maggio di più di un secolo fa le operaie della Manifattura Tabacchi, che allora contava 600 operai di cui 500 donne, si fecero interpreti del malessere diffuso a Cagliari e in tutta l’Isola; con la rivolta che ne seguì i lavoratori, tra cui operai, portuali, fornai, manovali, fruttivendoli e negozianti, chiamarono tutti i sardi a mobilitarsi contro le istituzioni, insensibili alle durissime condizioni della popolazione. Oggi nella toponomastica cittadina non c’è ricordo di quei fatti che segnarono la vita della città e della Sardegna per diversi anni”. La proposta per il nome “Giardini delle Sigaraie – In memoria dei moti popolari del 1906″, portata avanti su idea dell’ex consigliere Marco Murgia e firmata dai capigruppo della maggioranza consiliare, è ora sotto esame della Commissione Toponomastica presieduta da Roberto Tramaloni: l’approvazione non è ancora formalizzata, dato che il cantiere di via Roma dove sorgerà la piazza non è ancora partito, ma l’idea ha il sostegno del Consiglio comunale.

Foto da Flickr Rosella Pinna
Foto da Flickr / Rosella Pinna

Sui fatti di quella primavera di 101 anni fa non sappiamo molto. Alla vicenda un giovane Sergio Atzeni dedicò un testo teatrale, pubblicato da Edes nel 1977 con il titolo “Quel maggio del 1906”. Ne abbiamo ricordo, inoltre, nelle memorie scritte dall’allora sindaco Bacaredda, che nel suo ‘L’Ottantanove cagliaritano, note di cronaca’ pubblicato nel 1909, attribuiva la protesta a qualcuno che aveva sobillato le sigaraie: “Eran state mandate. Sapevano di non trovarsi con nemici, ma nella loro anima vibrava l’effetto eccitatore di novelli amici”.

Quella mattina il sindaco ascoltò le tre donne e rispose punto per punto alle lamentele, sostenendo, in definitiva, che le richieste non erano di facile attuazione. Gli animi si scaldarono anche per la battuta poco elegante che Bacaredda diede alle sigaraie: “Ora, sapete voi com’egli (il sindaco, ndr) si vendica delle esorbitanze dei pescivendoli? Quando, per esempio, le triglie vanno a 2 lire il chilogrammo, fa loro tanto di cappello e compra baccalà“. La risposta fu riportata dal quotidiano Il Paese che accusò il primo cittadino di insensibilità verso le giuste richieste dei cittadini.

Tre giorni dopo, il 14 maggio 1906, si scatenò una delle più grandi manifestazioni di popolo che la città abbia mai conosciuto con la folla che mise i quartieri sottosopra: fu dichiarato lo stato d’assedio, scesero in strada fanteria, bersaglieri e cavalleria e l’esercito ricevettero l’ordine di sparare a vista contro i manifestanti. Due persone, un fruttivendolo di 19 anni e un manovale di appena 15, rimasero uccisi. Da questo momento la protesta per il caro-vita e le dure condizioni dei lavoratori si estese in tutta la Sardegna dove si registrano 20 morti (cinque pastori a Villasalto colpiti alla schiena), altri a Iglesias (leggi qui) e centinaia di feriti.

Il governo allora guidato da Sidney Sonnino mandò un esercito di cinque mila soldati per placare la rivolta, il sindaco Bacaredda si dimise sostituito da un commissario prefettizio. “I capipopolo, o quelli ritenuti tali, vengono arrestati e rinchiusi a Buoncammino – ricorda un articolo dello storico Marco Carta pubblicato su Fondazione Sardinia –  Seguirà, nel 1907, un megaprocesso con centinaia di imputati e altrettanti testimoni. L’aula di giustizia sarà la chiesa sconsacrata di Santa Restituta. Fra le imputazioni, anche quella di aver costretto gli assessori a dimettersi”.

Francesca Mulas

 

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