Bimba uccisa da motoscafo, una teste rischia accusa per falsa testimonianza

Tensione in aula al processo sul terribile incidente in mare nel quale perse la vita Letizia Trudu, la bambina di 11 anni uccisa nell’estate del 2015 dall’elica dello yacht dal quale si era tuffata assieme al padre e alla sorellina, nelle acque di Santa Margherita di Pula, a circa 40 chilometri da Cagliari. Davanti al giudice Giuseppe Carta, questa mattina è comparsa
una testimone, una ragazza di 23 anni. Ha raccontato elementi nuovi, mai emersi nell’inchiesta e che hanno scatenato da una parte l’ira del pm Alessandro Pili e dall’altra quella dello
stesso giudice, il quale ha più volte ammonito la testimone sull’obbligo di dire la verità. In particolare, la ragazza ha detto di aver sentito qualcuno – non gli imputati – dire ai
ragazzi presenti a bordo di tuffarsi, indicando una serie di dettagli che non aveva mai raccontato durante le indagini di Capitaneria e Carabinieri.

Alla fine, l’esame dell’imputato si è chiuso con la ragazza in lacrime che ha ammesso di aver avuto contatti con la difesa di uno degli imputati e il giudice Carta che, dopo averla ammonita varie volte sul rischio di incriminazione per falsa testimonianza (un reato da tre a sei anni di reclusione), si è riservato di inviare gli atti in Procura. Il processo vede imputati Andrea Trudu, 48 anni, di Assemini, padre della piccola vittima, e Maurizio Loi, di 59, comandante dell’imbarcazione, ex campione di windsurf residente a Serdiana: per entrambi l’accusa è di omicidio colposo. Secondo la Procura, il papà di Letizia le avrebbe detto di tuffarsi nonostante la barca avesse ancora i motori accesi. Al capitano dello yacht, invece, si contestano violazioni delle norme sulla sicurezza della navigazione. Prossime udienze il 14 e il 28 novembre e il 5 dicembre.

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