Aboubacar, lo Sprar e il sogno di diventare avvocato: “Ho rischiato di morire in mare”

Una storia come tante, troppe purtroppo, quella del giovane Aboubacar: a 17 anni ha lasciato il suo paese, la Guinea, per sfuggire a una situazione personale insostenibile, ha attraversato il deserto ed è arrivato in Libia, dove è rimasto in prigione per tre mesi. Davanti alla prospettiva di attraversare il Mediterraneo a bordo di un gommone si è sentito minacciato dai militari libici: salite su quella barca, se tornate indietro vi ammazziamo. Il gommone a un certo punto del viaggio ha iniziato a imbarcare acqua. “Per fortuna siamo stati soccorsi, altrimenti saremo morti in mare”. Una storia tragica, che ha per fortuna avuto un lieto fine: Aboubacar e i suoi compagni di viaggio, soccorsi a largo delle acque libiche, sono arrivati in Sicilia e poi sistemati nelle strutture per l’accoglienza dei migranti distribuite in tutta Italia. È così che è arrivato in Sardegna ormai due anni fa: ci ha raccontato la sua storia oggi all’interno dell’incontro ‘Nessuno è clandestino’ organizzato dalla rete dei progetti Sprar in Sardegna nell’ambito della Giornata Mondiale per il Rifugiato.

Il giovane africano, dopo aver soggiornato per diversi mesi al Cara di Elmas, è stato accolto nel progetto Sprar ‘San Fulgenzio’ gestito dalla Caritas di Cagliari attraverso la sua Fondazione San Saturnino grazie al finanziamento del Comune di Quartu Sant’Elena. All’interno del progetto San Fulgenzio, che come tutti i progetti della rete nazionale Sprar mira alla seconda accoglienza con attività di inserimento lavorativo e formazione, oggi lavorano un coordinatore, due operatori di accoglienza e integrazione sociale, un legale, un medico, uno psicoterapeuta. Con loro collaborano anche insegnanti di italiano e personale amministrativo. Dal 2014, quando è stato finanziato per la prima volta, ha dato ospitalità a 78 persone; oggi ne accoglie 28, tutti ragazzi molto giovani, distribuiti in 5 appartamenti a Quartu. Vengono soprattutto da paesi dell’area sub Sahariana come Gana Gambia, Mali, Costa d’Avorio ma ci sono anche pakistani, eritrei e somali.

“Vivono da soli e si gestiscono le piccole spese quotidiane e la gestione della casa, sono poi seguiti da un operatore per le questioni amministrative e concrete – ci racconta Stefania Russo, coordinatrice del progetto Sprar San Fulgenzio. – Quasi tutti oggi svolgono un tirocinio formativo, ad esempio all’InfoGiovani della Mem di Cagliari: per noi è una grande soddisfazione il fatto di aver attivato per loro ben 33 tirocii in 2 anni, e di aver visto che 9 di loro sono riusciti a trovare un impiego a tempo indeterminato“. La gran parte lavorano nell’agricoltura e nella ristorazione, ma molti di loro, come Aboubacar, hanno deciso di continuare gli studi.

“La maggior parte del nostro lavoro, a parte aiutare ciascuno di loro a costruirsi un futuro, è parlare con le persone. L’ignoranza, ovvero la non conoscenza, è il nemico più grande: siamo continuamente bombardati da notizie che insinuano falsità e aumentano i processi di isolamento e allontanamento. È difficile, ad esempio, trovare case in affitto per via della diffidenza dei proprietari, e ci è capitato anche di incontrare molta ostilità tra i condomini del palazzo dove i nostri ospiti vivono. Molti sono intolleranti in maniera eccessiva ai rumori, ad esempio, dimenticando che non si tratta solo di migranti ma di ragazzi di 18, 20 anni che come tutti noi sono diversi: c’è chi è più chiassoso, chi rispetta le regole e chi no, solo che nei loro confronti c’è molta più insofferenza. Per quello che possiamo, cerchiamo di combattere la diffidenza creando occasioni di incontro e conoscenza, ad esempio con degli eventi in cui la cena è preparata dai ragazzi; oppure grazie a giornate di riflessione pubblica come questa. Il cambiamento sociale e culturale avviene anche così”.

(Nella foto di Roberto Pili uno degli ultimi sbarchi a Cagliari)

Francesca Mulas

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