Incisore, pittore e progettista: Marco Useli al festival di arte contemporanea “Palinsesti”

Marco Useli è un pittore, incisore e progettista, originario di Nuoro, che sarà tra i prossimi protagonisti del festival di arte contemporanea “Palinsesti”, a San Vito al Tagliamento in Friuli, con una mostra, a cura di Luca Pietro Nicoletti, che inaugurerà il 7 novembre.

Dopo il diploma all’Istituto d’Arte Useli si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze e, in seguito ad un’esperienza biennale a Londra, si è stabilito a Milano dove ha conseguito un Master in Progettazione contemporanea con la pietra, presso il Politecnico. Dal 2012 fa parte dell’Associazione Culturale Milano Printmakers, che si occupa di sviluppare la ricerca nella grafica d’arte e nel 2017 ha aperto uno studio anche a Dorgali: un luogo ove portare avanti la propria attività artistica e dove ospita, sotto la sua curatela, mostre e laboratori di pittura ed incisione. Al territorio sardo ha dedicato, nel 2018, fa il progetto Su Boidu, Il Vuoto. L’idea, nata per celebrare il valore emotivo di una porzione di territorio, ai margini della macro regione barbagica, lo ha visto impegnato nella creazione di un dodecaedro trasparente, simbolo del cosmo nella sua complessità e armonia, luogo di osservazione privilegiato sullo spazio circostante, sviluppato sulla base di proporzioni fisiche strettamente correlate al mondo della natura e dei rapporti aurei. In un work in progress le pareti dello stesso dodecaedro hanno ospitato gli interventi incisori di diversi artisti, in un gioco di corrispondenze e inganni finalizzato alla restituzione di un paesaggio composito, fatto di elementi reali e interiori.

Al lavoro ambientale Useli affianca una raffinata e ricca produzione di opere tu carta e tavola. Nelle sue composizioni vivono, respirano, macchie di pigmenti generate dalla compressione del colore con il rullo che, in interazione con ogni altra forma-figura presente sul piano, identificano tutto ciò che trascende la forma chiusa, determinandosi e continuamente ri-determinandosi in forma aperta, temporanea, istantanea e volatile. Completando un moto di rivoluzione sul piano, il rullo percorre 3,14 volte la dimensione del suo diametro. “All’interno di questo spazio si sviluppa l’unità minima del mio lavoro. All’unità minima corrisponde la forma unica che, mediante la propria riproduzione, innesca un meccanismo di consunzione e l’esasperazione di un ritmo”.

Quanto la natura incontaminata e potente, le formazioni rocciose caratteristiche della Barbagia, hanno contribuito alla creazione del tuo immaginario artistico?

“Potrei fingere di essere stato folgorato dalle riproduzioni di un’opera d’arte su un libro, ma ovviamente non è così. Sono stato fortunato, fin da bambino potevo uscire di casa, attraversare la pineta che sovrasta casa mia a Dorgali e sedermi a contemplare dall’alto un paesaggio incredibile. Nascere in mezzo a una natura come quella, calcare, basalto, granito sciolto dal tempo e dall’acqua, a un certo punto sei quasi costretto a farci i conti. Le prime cose non accademiche che ho fatto erano un tentativo di riflessione sui ritmi della natura, sul paesaggio che si allontana dallo sguardo, un po’ una costante per chi attraversa il mare, vedere la costa che sfuma, la pietra che perde consistenza, poi ti ritrovi a Milano a fare un master sulla progettazione contemporanea con la pietra e pensi: ecco, tutto torna”.

L’allestimento del tuo studio a Dorgali rappresenta un punto di arrivo o di partenza?

“La risposta è apparentemente semplice, pensando al mio studio lo definirei ‘punto di arrivo e di partenza’. Diciamo che quando l’ho allestito pensavo di essere arrivato. Poi sono partito nuovamente. Poi ci sono tornato un’altra volta e nuovamente sono ripartito. Sapere che c’è, che è lì e mi aspetta esattamente come l’ho lasciato, come lo ricordo, mi permette di starci lontano senza il terrore di non sapere dove andare. È casa mia, ci sono le mie cose, c’è un ordine rassicurante che mi trasmette una forte serenità, poi però vivo un costante bisogno di stimoli e quindi devo partire. Come ogni luogo così circoscritto è un po’ un’isola dentro un’isola dentro un’isola e così via, una cosa che quando si parla del mio studio diventa vera anche dal punto di vista geografico. Poi, se vai a vedere in fondo, il mio studio sono io, l’isola più piccola, uno studio vagante, mi basta una matita per sentirmi a casa.”

La tua produzione trova le proprie origini in un’attenta contemplazione e celebrazione della natura e dei suoi ritmi: il metodo che hai sviluppato è frutto di un pensiero più analitico o empirico?

“Partiamo dall’idea che la natura fa, non pensa. Guardando il paesaggio, ma anche una qualsiasi pietra o una pianta vagabonda e spontanea, come quelle che sono entrate a far parte dei miei lavori a un certo punto, ciò che emerge è l’inesorabilità di una volontà, delle sue conseguenze. L’acqua col tempo consuma qualsiasi materiale, le piante sconfiggono la roccia con una facilità disarmante, con una potenza gentile e una pressione costante. L’azione ripetuta porta risultati giganteschi. Quindi anche io faccio sempre, ogni giorno, e quando faccio non penso. È l’insegnamento del mio primo Maestro, mio nonno, che mi ha insegnato a lavorare in campagna, in silenzio. Quindi, tornando alle categorie di empirico e analitico, l’approccio e il lavoro costante sono dominati dalle sensazioni, e quindi sono senza dubbio empirici.”

L’importanza della regola aurea, dei codici appartenenti al mondo della natura e della fisica, sono spunto di riflessione e oggetto del tuo lavoro. Sei più attratto dall’infinitamente grande o dall’infinitamente piccolo?

“Sono molto attratto dall’infinitamente piccolo, a dire la verità dal “molto piccolo”, lascerei da parte l’infinitamente per il momento, perlomeno la visione microscopica. Ma è più che altro una grande passione per i processi, per tutto ciò che da piccolo diventa grande. Il seme, la formica, la piccola pietra, tutte cose che poi a un certo punto della loro esistenza sono state o sono destinate a generare o far parte di qualcosa di grande, l’albero, il formicaio, la montagna. È lo stesso con le opere, tutto idealmente comincia con un punto che genera un piccolo segno solitario, un elemento quasi nudo, indifeso, ma quando questo segno comincia a moltiplicarsi e ad accumularsi, a trasformarsi in un sistema organico, può diventare davvero qualcosa di potente.”

Quali i tuoi prossimi progetti?

“Il 7 novembre inaugura la mostra legata al Festival di Arte Contemporanea ‘Palinsesti’ e per l’inverno ho in programma una personale negli spazi della Galleria Arrivada a Milano, a cura di Samuele Menin.
A giugno avrei dovuto inaugurare una personale a Villa Arconati a Bollate ma, purtroppo, considerate le circostanze, è stata spostata al prossimo anno: il curatore, vista l’attesa, mi ha invitato a ragionare con lui su un progetto ad hoc per gli spazi della Villa, un posto incredibile, che ha visto il passaggio di grandissimi dell’arte.”

Gaia Dallera Ferrario
www.gaiadallera.com

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