Giuseppe Biasi, l’illustratore di Deledda. Il pittore fu ucciso nel ’45 dai partigiani

Il 23 ottobre del 1885 nasceva, a Sassari, Giuseppe Biasi, artista la cui opera è metafora di un viaggio alla ricerca di un primitivo principio generatore, in un momento storico connotato dall’esaltazione dell’innovazione e della potenza meccanica. Biasi non è stato soltanto un pittore che ha rappresentato in chiave contemporanea la Sardegna popolare: è anche il primo pittore moderno in un’Isola che non possedeva tradizioni artistiche recenti, dove non esistevano accademie o scuole d’arte.

Nonostante le ambizioni della sua famiglia, che vide in lui la prosecuzione di una tradizionale professione giuridica, la sua passione creativa non tardò a manifestarsi. Vi si dedicò intensamente e da autodidatta, giungendo parallelamente al conseguimento della laurea in giurisprudenza. Visivamente si formò sulle riviste illustrate e sulla cartellonistica pubblicitaria che, intrisa di richiami esplici al mondo dell’arte, aveva uno stile semplice ed efficace. I manifesti si rivelavano, in quel momento storico, molto più accattivanti e avanguardistici rispetto alla tradizionale pittura.

Le prime collaborazioni non tardarono ad arrivare e Biasi, già a 16 anni, iniziò a lavorare come caricaturista presso alcuni fogli umoristici locali. Poco più tardi, a Roma, fu introdotto dal poeta Salvatore Ruju, nella redazione del settimanale socialista Avanti della Domenica, alla quale collaboravano artisti del calibro di Mario Sironi, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini.

Dopo quest’esperienza, che durò cinque anni, Biasi rientrò in Sardegna e, nel 1906, vinse un concorso per la scolarizzazione italiana che gli diede l’opportunità di avventurarsi nelle regioni interne dell’Isola. Viaggiò dalla Barbagia al Sulcis, ove rimase profondamente affascinato dall’ambiente e dai costumi, così aderenti alle tradizioni popolari e distanti dai cittadini desideri di modernità. In questo momento legherà inoltre il suo nome alle illustrazioni per la narrativa di Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926.

Gli anni di ‘scoperta della Sardegna’ furono fondamentali per la costituzione del suo immaginario artistico e, poco dopo, Biasi decise di intraprendere un’altra esperienza, che si sarebbe rivelata particolarmente significativa.
Fu negli anni 20 che partì per il Nord Africa, alla ricerca di nuove ispirazioni e di una catartica matrice primitiva.
In questa fase l’artista dichiarò il proprio interesse per l’arte africana, indiana, le maschere rituali, volgendo lo sguardo all’arte contemporanea francese che, da Matisse a Modigliani, da Picasso a Gauguin, traeva grande ispirazione dall’art nègre.

Come loro anche Biasi fu affascinato dal sogno di un mondo libero, non contaminato dalla civiltà e dal progresso che egli seppe riconoscere non solo in quel continente lontano, ma anche nella tradizione rurale della Sardegna.
Nella sua ricerca ha rappresentato, attraverso la realtà contadina e il mondo popolare, una vita scevra di vanesie sovrastrutture, connotata da istinti e passioni forti, offrendo un incontro tra cultura figurativa internazionale e tradizione locale.

Lo stile che Biasi elaborò si rivelò asciutto e sintetico, con stesure di colore arido e magro, connotato da un gusto esotico in un momento in cui, invece, la scena artistica italiana era dominata dalle tendenze plastiche del classicismo di regime, precetti a cui parzialmente aderirà dalla metà degli anni Trenta. In questo periodo la sua arte giungerà ad un realismo pessimista e, ai soggetti sardi, si affiancheranno vedute di desolati monti e di campi coltivati, scarne nature morte, quadri di fiori su fondo nero. Alla Liberazione venne accusato da una lettera anonima di essere stato una spia dei tedeschi e, dopo diciotto giorni di prigionia, morí tragicamente il 20 maggio 1945, assassinato dai partigiani.

Giuseppe Biasi, é stato, senza dubbio, uno dei maggiori esponenti della pittura sarda del Novecento anche se l’originalità della sua opera, distante dalle tendenze del ‘ritorno all’ordine’ o del ‘realismo sociale’, unita alla sua insofferenza alla dittatura fascista, lo abbiano reso incompreso nella sua epoca. Quella di Baisi è stata la ricerca di un’artista, connotato da uno spitio istrionico e curioso, che ha contribuito a nobilitare il mondo contadino e pastorale, riabilitandolo, da un immaginario di sottosviluppo e di miseria, per divenire perno di una nuova identità.
La sua opera si è alimentata, ed ha altresì nutrito, un percorso spirituale e filosofico, volto ad apprendere ciò che l’esperienza e il mondo possono insegnare, emblema della conoscenza intesa nella più alta delle accezioni.

“È possibile dimostrare, non come gli uomini pensano nei miti, ma come i miti operano nelle menti degli uomini senza che loro siano informati di questo fatto.”
Claude Lèvi-Strauss

Gaia Dallera Ferrario
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