Lite sul demanio tra Regione e Comuni. Il giurista: “Troppi interessi in gioco”

Dal professor Fulvio Dettori, docente di Diritto regionale all’Università di Sassari e già direttore generale della presidenza della Regione, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo approfondimento sulle concessioni demaniali marittime, tema torna al centro del dibattito politico per via dello scontro tra Comuni e Regione che vuole avocare a sé il potere di rilascio. Per questa ragione c’è anche un ricorso presentato al Tar dall’amministrazione di Quartu guidata dal sindaco Graziano Milia.

Sul demanio marittimo la Sardegna non dispone di una sua potestà statutaria. Diversamente da quanto stabilito dall’articolo 32 della Sicilia, che attribuisce alla Regione la quasi totalità dei beni del demanio statale, l’articolo 14 dello Statuto speciale ha attribuito alla Sardegna la titolarità del beni e diritti patrimoniali già dello Stato, fatta eccezione, però, di tutto ciò che riguarda il demanio marittimo.

Il passaggio delle funzioni fino ad allora esercitate dalle amministrazioni dello Stato alla Regione sarda è quindi avvenuto solo nel 2001, quando le norme di attuazione statutaria (il decreto legislativo n. 234) hanno assegnato all’amministrazione regionale ed ai Comuni della Sardegna le stesse funzioni e gli stessi compiti che, tre anni prima, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 aveva conferito alle Regioni a statuto ordinario e ai loro enti locali.

Quindi, ancora una volta la condizione di specialità ha rappresentato una diminuzione delle competenze regionali e un ritardo nell’attribuzione di competenze e funzioni, del tutto simili, inoltre a quelle delle Regioni ordinarie. Una volta ricevute le competenze dalle amministrazioni statali, la Regione ha disciplinato con proprie norme (la legge 9 del 2006) la disciplina delle concessioni balneari, affidandone il rilascio alle amministrazioni comunali, le quali hanno acquisito la titolarità della “elaborazione ed approvazione dei Piani di utilizzazione dei litorali” (Pul) e, soprattutto, il rilascio delle “concessioni, sui beni del demanio marittimo o della navigazione interna, per finalità turistico-ricreative, su aree scoperte o che comportino impianti di facile rimozione”, nonché, infine, altre funzioni amministrative riguardanti il demanio marittimo ed il mare territoriale.

Fra le novità, più o meno pertinenti, che dovrebbero essere inserite nel disegno di legge sulle “Nuove Province”, una, attesa con particolare ansia da molti amici della giunta e della maggioranza consiliare, riguarda le concessioni balneari sul demanio marittimo. A distanza di quindici anni dall’assegnazione ai Comuni delle funzioni relative al rilascio delle concessioni balneari, la Giunta regionale (e la maggioranza che la sostiene), richiamandosi ad una interpretazione di norme legislative statali più volte contestata dalla giurisprudenza costituzionale, pretendono che le amministrazioni comunali proroghino senza gara e fino al 2033 tutte concessioni balneari in essere, così da garantire, di fatto, la privatizzazione di poco meno del 40 per cento delle migliori coste sabbiose della Sardegna (i dati sull’entità dell’occupazione delle spiagge sono ricavati dal volume ‘Rapporto spiagge 2020’, a cura di Legambiente).

Al di là delle dimensioni dell’occupazione, quello che colpisce è la volontà di arrivare a individuare, senza gara e senza alcuna valutazione sul merito e la qualità delle offerte, coloro che fino al 2033 acquisiranno il diritto di gestire con la corresponsione di un canone irrisorio (secondo un’indagine del Corriere della Sera l’hotel Cala di Volpe corrisponde un canone di 520 euro di concessione all’anno), le aree di maggior pregio di un litorale fra i più apprezzati e contesi d’Italia. A questa pretesa si sono opposte alcune amministrazioni comunali (fra le altre Quartu, Olbia, Arzachena), che rivendicano la titolarità di quella competenza e rifiutano di accettare le imposizioni della Regione che, di fronte all’opposizione delle amministrazioni comunali, ha nominato alcuni commissari con il compito di sostituirsi ai Comuni inadempienti.

Va tuttavia riconosciuto che, alla base di questa controversia fra livelli di governo regionale e locale, la Giunta sarda e la gran parte delle amministrazioni comunali contrarie pongono a base delle rispettive rivendicazioni il raggiungimento di obiettivi sostanzialmente simili: non tanto l’apposizione di regole a garanzia della tutela dell’ambiente, al diritto di un libero e gratuito utilizzo delle spiagge e di procedure trasparenti e corrette per l’assegnazione di beni di così rilevante valore economico, quanto piuttosto la volontà di intervenire con una gestione pressoché incontrollata sul governo del demanio marittimo.

Il rischio è che finiscano per prevalere gli interessi dei nuovi concessionari, magari ‘amici’, che acquisirebbero, a titolo pressoché gratuito, la gestione di fette di spiaggia per un arco temporale non più stagionale ma della durata di 15-18 anni. Con margini di guadagno inimmaginabili, accompagnati da canoni irrisori e da un livello di evasione fiscale altrettanto inimmaginabile.

Di fronte a questi tentativi, che riguardano buona parte delle Regioni italiane, negli ultimi anni si è sviluppata una giurisprudenza costituzionale (seguita da una altrettanto severa giurisprudenza amministrativa) sempre più rigorosa che, decisione dopo decisione, ha sottratto alle Regioni (e ai Comuni) il governo del demanio marittimo, impedendo che potesse proseguire una gestione di pochi dei litorali.

Richiamandosi al principio della ‘libera concorrenza’, materia di esclusiva competenza statale, la Corte costituzionale (si veda, da ultimo la sentenza n. 10 del gennaio 2021) ha stabilito che i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni balneari, soprattutto per un arco di tempo così esteso, debbono essere determinati “nell’osservanza dei principi della libera concorrenza” dettati dalla normativa statale e dell’Unione europea, “con conseguente loro attrazione nella competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, che rappresenta sotto questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze regionali”. Di fronte a orientamenti giurisprudenziali così precisi e rigorosi, ecco il tentativo della Regione di acquisire la gestione del litorale marittimo secondo un’operazione che è però destinata a fallire.

Fulvio Dettori

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