La ‘sacrosanta’ separazione dei poteri. Dettori: “Tutto il resto è intromissione”

Dal professor Fulvio Dettori, docente di Diritto regionale all’università di Sassari e già direttore generale della presidenza della Regione, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento sui rapporti tra organo politico e quello amministrativo. Una divisione delle funzioni tornata nell’agenda dei sindacati dopo la decisione di Gabriella Murgia, titolare dell’Agricoltura nella Giunta sarda, di chiedere ai dirigenti dell’assessorato le bozze delle determinazioni prima della loro adozione.

Con un piglio da vero manager l’assessora regionale dell’Agricoltura pretende di conoscere “tempestivamente” e “in bozza” (prima, quindi, della loro formale adozione) il contenuto delle determinazioni che i dirigenti dell’assessorato stanno per assumere.

A giustificazione di questa richiesta l’assessora si richiama all’articolo 21 della legge regionale 31/1998 che, da oltre un ventennio, disciplina il ruolo, le funzioni e l’organizzazione della dirigenza regionale. Al nono comma, l’articolo 21 stabilisce che le determinazioni adottate dai dirigenti (e, quindi, non le loro bozze) “devono essere comunicate al competente componente della Giunta, con le modalità dal medesimo determinate”.

Non è necessario essere giuristi sopraffini per rendersi conto che il testo citato per giustificare la pretesa di conoscere anticipatamente il contenuto dei futuri provvedimenti dirigenziali, stabilisca l’esatto contrario di quanto preteso dal responsabile politico dell’assessorato, la cui richiesta è frutto di una lettura non solo errata, ma partigiana e faziosa, di norme che non lasciano spazio a interpretazioni come quelle dell’assessora e, quasi certamente, di chi la mal consiglia.

L’illegittima intromissione dell’assessora trova inoltre un ulteriore ostacolo nei commi settimo e ottavo dello stesso articolo 21, il primo dei quali attribuisce al direttore generale dell’assessorato il potere di decidere “in via definitiva” sugli eventuali ricorsi presentati contro le determinazioni dirigenziali, escludendo quindi qualsiasi intromissione preventiva anche da parte del vertice amministrativo dell’assessorato. L’ottavo comma attribuisce invece al presidente della Regione e agli assessori il potere di annullare d’ufficio, per motivi di legittimità, le determinazioni dirigenziali, “ove sussista un interesse pubblico attuale all’annullamento”.

Tuttavia, quello che potrebbe apparire il maldestro tentativo di controllare e di condizionare preventivamente l’attività dei dirigenti dell’assessorato appartiene in realtà a un metodo di governo degli organi di direzione politica della Regione sarda che non rinunciano a tentare di esercitare in prima persona competenze che, ormai da tempo, sono affidate in via esclusiva alla dirigenza, sulla quale, peraltro, la legislazione regionale, in buona parte illegittimamente, affida agli organi di governo regionale incisivi poteri di controllo e di condizionamento, il primo dei quali riguarda la nomina e la revoca non solo dei direttori generali ma anche dei dirigenti.

Una lunga, costante e consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha ripetutamente ribadito che i princìpi del titolo quinto della Costituzione e dello Statuto speciale per la Sardegna escludono che gli organi di governo delle Regioni (comprese quelle ad autonomia speciale) possano intervenire con propri atti (legislativi e, ancor di più, amministrativi) su tutto ciò che concerne lo stato giuridico e la retribuzione dei dirigenti in quanto competenze riconducibili alla materia dell’ “ordinamento civile” di cui il potere statale è titolare in via esclusiva.

I giudici costituzionali hanno continuativamente affermato l’illegittimità di disposizioni legislative regionali (alcune delle quali proprio della Regione sarda) che intervenivano in materia di disciplina della dirigenza, ribadendo più volte che, “essendo il rapporto di impiego di tali lavoratori ormai contrattualizzato, la sua disciplina rientra nella materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva statale”.

Dunque, per quanto riguarda la disciplina dello stato giuridico e del trattamento economico del personale regionale (e della dirigenza in particolare) occorre fare riferimento alla legislazione statale (prima di tutto al decreto legislativo 165/2001) che ha sostituito pressoché integralmente la precedente normativa regionale.

Tuttavia, nonostante la chiara ripartizione di competenze fra Stato e Regione, nell’amministrazione regionale, in palese contrasto con le regole statali, continuano ad essere applicate norme che permettono alla Giunta e agli assessori di condizionare incisivamente (e negativamente) l’autonomia decisionale della dirigenza.

Fra le disposizioni regionali più negativamente significative rientrano quelle riguardanti la nomina e la revoca dei dirigenti per i quali, fatta eccezione per i direttori generali (la cui scelta, per il momento, può avvenire in base a valutazioni eminentemente personali e di vicinanza politica), la legge dello Stato (articolo 19 del decreto legislativo 165/2001) impone che la nomina avvenga non per consonanze politico-personali, ma bensì in seguito ad una selezione a evidenza pubblica da svolgersi “in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati”, e fondata sulla valutazione imparziale delle “attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente”.

Ciononostante, la legge regionale (articolo 28 legge 31/1998) ancora consente che nell’amministrazione regionale le nomine dei dirigenti avvengano senza alcuna selezione e che la scelta spetti all’assessore competente per materia, il quale, “sentito il direttore generale della struttura di destinazione”, ha il potere di indicare un nominativo si suo gradimento senza la necessità di motivazione, avendo quindi come preminente criterio di selezione la conoscenza politico-personale del prescelto.

Sempre a proposito della capacità di condizionamento dei dirigenti, l’ottavo comma dell’articolo 28 ha previsto che il dirigente possa essere rimosso per essere destinato a “diversa funzione dirigenziale, per esigenze attinenti all’ottimale utilizzazione delle competenze professionali, in relazione agli obiettivi, alle priorità date e ai programmi da realizzare ovvero in conseguenza di processi di riorganizzazione”. In questo caso il provvedimento dell’assessore al personale, adottato su proposta dell’assessore competente per materia, deve essere “specificamente motivato” e non può “implicare giudizio negativo sull’operato del dirigente”. Una norma del 2014 ha soppresso la regola che impediva di revocare il dirigente nei dodici mesi successivi all’insediamento della Giunta regionale.

Sempre a proposito delle anomalie nel rapporto fra la politica e la dirigenza regionale, appare illegittima la decisione di nominare i direttori generali anche per una durata di pochi mesi. Da tempo la Corte di cassazione ha infatti introdotto nel nostro ordinamento un “principio di diritto”, ovvero una regola che contiene un carattere sostanzialmente vincolante per tutta la giurisprudenza, stabilendo che la durata degli incarichi dirigenziali non può essere inferiore a tre anni, così da impedire l’attribuzione di incarichi troppo brevi e permettere al dirigente di avere il tempo per poter esprimere le sue capacità e conseguire i risultati per i quali l’incarico gli è stato affidato.

Quanto queste “non regole”, utilizzate abbondantemente per le ultime nomine, possano durare è difficile immaginare: è certo che esse favoriscono e incentivano la subordinazione di una dirigenza, priva di tutela e facilmente condizionabile e indirizzabile.

Si tratta peraltro di un condizionamento dei vertici dell’amministrazione regionale che da tempo avrebbe dovuto cessare e che continua invece ad essere utilizzato, con la sola opposizione del sindacato dei dirigenti.
Ciò tuttavia non vuol dire che non vi sia spazio per rimediare. Una maggiore determinazione delle organizzazioni sindacali nell’opporsi alle prepotenze di questa ‘Giunta dei miracoli’ e la presentazione di ricorsi giurisdizionali contro nomine dirigenziali non rispettose dei criteri di imparzialità e trasparenza potrebbero portare le leggi regionali di fronte alla Corte costituzionale, che non potrebbe fare altro che ribadire decisioni ripetutamente affermate, cancellando anche in Sardegna l’arbitrarietà di scelte e decisioni assunte in palese contrasto con i princìpi costituzionali.

Fulvio Dettori

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