Il documento segreto su Wikileaks : “I giovani harraga diretti in Sardegna”

La rotta dei migranti Algeria-Sulcis è nota ormai da dieci anni e ancora oggi è battuta da giovani e giovanissimi che dal Nord Africa sognano di arrivare in Italia: anche ieri sono stati intercettati 61 algerini che cercavano di raggiungere Cagliari, in tutto il 2016 le coste sulcitane sono state meta di 1133 migranti.

I viaggi dei barchini in partenza da Annaba, porto nelle coste settentrionali dell’Algeria, sono ben documentati dalla stampa algerina e da quella italiana. Oggi sappiamo che il fenomeno è stato oggetto di attenzione anche da parte degli Stati Uniti d’America: negli archivi della diplomazia americana c’è un documento riservato che parla della rotta dei migranti Algeria-Sulcis. Il 13 luglio 2008  Thomas F. Daughton, allora vice capo della missione Usa nell’ambasciata di Algeri, inviava agli uffici centrali del suo governo una relazione sul fenomeno degli harraga, i migranti che dall’Algeria lasciano illegalmente il paese verso l’Italia o la Spagna. Il testo è stato pubblicato da Wikileaks, enciclopedia di documenti segreti e confidenziali fondata, tra gli altri, da Julian Assange. Un testo vecchio di quasi nove anni ma ancora attualissimo.

“Nella spiaggia desolata di Sidi Salem, nella periferia est di Annaba, una dozzina di ragazzi algerini alterna le partite di pallone al lavoro su piccole barche di legno – scrive il funzionario americano nel documento “The Harraga, give me dignity or give me death”  – Ogni settimana diverse barche partono da qui portando con sé un pezzo dell’Algeria frustrata: medici, avvocati, disoccupati. Si espongono al mare aperto, 10 o 12 su ogni barca, armati di acqua, cibo, coperte, un piccolo motore e un dispositivo Gps indirizzato verso le isole italiane di Lampedusa, Sicilia o Sardegna. Sono gli ‘harraga’, letteralmente coloro che bruciano le carte di identità prima della partenza; oltre il 90% di loro morirà in mare, sarà arrestato e detenuto a tempo indeterminato in Tunisia o Libia, o sarà rispedito indietro dalle guardie costiere algerine, francesi, spagnole o italiane”.

Quando il diplomatico statunitense scriveva questa relazione i traffici di uomini dall’Algeria verso l’Italia erano quasi quotidiani: solo in Sardegna, secondo i dati del Ministero italiano dell’Interno, tra il 2006 e il 2010 si contarono ben quattromila arrivi.

Oltre ai ragazzi che approdano, ci sono purtroppo anche quelli che non ce la fanno: come denuncia il Comitato delle famiglie degli harraga spariti in mare molti dei ragazzi finiscono imprigionati nelle carceri tunisine o in quelle libiche con l’accusa di terrorismo.

L’algerino medio, secondo le notizie raccolte da Thomas F. Daughton e inviate alla diplomazia Usa, non ha però l’indole del terrorista: l’estremismo è estraneo a questo popolo, così come è innato un senso di frustrazione e impotenza dovuti alle vicende politiche e militari del paese. Dopo i gravi fatti del 1992, quando l’esercito prese il potere con un colpo di stato, la situazione è tornata gradualmente alla normalità ma il governo continua a tenere la popolazione in un clima di tensione: i giovani non si sentono liberi e non vedono un futuro nel loro paese. Quelli che partono da qui non sono poveri e disoccupati, o almeno non sempre: sono giovani, quasi esclusivamente maschi, in possesso di un titolo di studio o di una laurea. Davanti alle difficoltà di ottenere un visto per studio o lavoro nei paesi europei molti scelgono la via illegale. Come Marwan Belabed, 25 anni: suo padre Kamel lo cerca da ben nove anni, ricorda che il ragazzo aveva un lavoro e non aveva svelato alla sua famiglia i piani per partire lontano. A conferma del fatto che il sogno di una vita all’estero non riguarda solo i disperati, Daughton ricorda che anche il nipote dell’ex presidente dell’Algeria Chadli Bendjedid a 25 anni ha scelto la strada del viaggio illegale: non si hanno più sue notizie dal febbraio 2007.

Il governo conosce bene il fenomeno degli harraga dato che è un tema molto discusso e sentito dall’opinione pubblica. Ne parlano gli attivisti dei diritti umani, gli artisti, i registi, i musicisti persino: il cantante algerino Cheb Mami ad esempio ha scritto una canzone di successo dal titolo ‘Le harraga’ e ci sono diversi cortometraggi e film che raccontano gli harraga e la loro fuga. Nonostante ciò non si trova il modo di arginare il fenomeno, di fornire ai giovani una alternativa all’emigrazione.

Nel 2008, ricorda ancora Daughton, il ministro della solidarietà nazionale Djamel Ould Abbes convocò una conferenza stampa per affrontare il tema, e davanti ai giornalisti propose una somma di 400 mila dinari, 3200 euro circa, agli harraga tornati indietro; in cambio si chiedeva loro di sostenere il presidente Abdelaziz Bouteflika, ancora oggi in carica. Queste promesse  indignarono l’opinione pubblica, che accusava il governo e i suoi ministri di non conoscere il problema e di voler offrire ai giovani denaro in cambio della dignità. Uno di loro, Djamel, 27 anni, che aveva già tentato senza successo la traversata del Mediterraneo verso la Sicilia insieme ad alcuni amici, rispose che cercavano opportunità, non elemosina, e che l’unica cosa buona che avrebbero potuto fare con quei 400 mila dinari sarebbe stata comprare una barca più grande.

“L’atto degli harraga algerini – ricorda Thomas F. Daughton in chiusura della sua relazione – è un pianto per la libertà. Esattamente come lo era per gli immigrati che si imbarcavano verso Ellis Island”.

Francesca Mulas

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