Gian Antonio Stella, l’amore e la rabbia di un veneto un pò sardo

Gian Antonio Stella, scrittore di successo, inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”, è veneto. Ma conosce molto bene la Sardegna. Da giornalista e da turista. La conosce tanto bene che ne parla con toni di amore e di rabbia, come spesso accade ai sardi che l’hanno lasciata.

Qual è la zona della Sardegna che frequenta di più?

“Vado spesso a trascorrere le mie vacanza estive davanti all’Isola di Tavolara. Trovo Caprera favolosa, mentre l’Asinara è fantastica, anche se mi piace molto il Gennargentu. Punta Rei, prima che venisse storpiata da qualche insediamento assolutamente idiota, era stupenda. La zona, poi, intorno a Sant’Antioco è altrettanto magica, ma fare delle classifiche sulle innumerevoli bellezze della Sardegna è riduttivo. Mi piace la Sardegna nascosta, quella che nessuno va a vedere, come gli straordinari altopiani dell’entroterra e in particolare tutta la zona del Gennargentu”.

Qual è il suo piatto sardo preferito?

“Quante settimane ho per rispondere? La Sardegna ha una cucina fantastica, l’unico difetto è che non è molto dietetica. Mi piace il porcetto, i ravioli e tutti i formaggi sardi, vivrei solo di quelli. Se mi domandassero cosa mi porterei in un’Isola deserta, senza esitare risponderei i formaggi sardi. Adoro tutti i vini sardi, anche se sono troppo pesanti per la vita che faccio, mi bastano due bicchieri di Cannonau per dormire 15 giorni di seguito. E’ inutile fare delle classifiche, la cucina e i prodotti tipici sardi sono tutti eccezionali, dal pane carrasau alla zuppa gallurese, troppi per fare un elenco completo”.

Quali sono i luoghi che l’hanno più colpita?

“Lula, tra tanti. E’ un pezzetto di Sardegna che non vuole morire, dove hanno rinviato le elezioni comunali per non so quante volte. Quando ci andai, mi pare fosse la settima volta che le rinviavano. Cito Lula per fare un elogio della Sardegna, perché se è vero che nell’Isola ci sono ancora dei luoghi aspri nel rapporto con lo Stato e con la legge, però è altrettanto vero, numeri alla mano, che la Sardegna è migliorata molto rispetto a tutte le altre regioni italiane, nei rapporti con lo Stato e la legge. Conosco bene questi numeri, perché quando scrissi “L’Orda”, studiai tutte le statistiche sulla criminalità del passato. Ricordo perfettamente un dato; la Sardegna aveva alla fine dell’Ottocento, 32 omicidi ogni 100 mila abitanti. Una terra violentissima, paragonata a oggi è come se ci fossero 640 omicidi all’anno, una cosa impensabile. Questo tasso di violenza spaventoso si è ridotto più che in qualsiasi altra parte d’Italia. Con questo non voglio dire che l’Isola sia un paradiso terrestre, però è fuori discussione che il tasso di omicidi è uno dei più bassi del nostro Paese. Ancora negli anni 60, con strascichi ulteriori, c’era il problema del banditismo e adesso quel fenomeno sembra lontanissimo, nonostante le difficoltà economiche in Sardegna siano molto più pesanti che in altre parti d’Italia”.

E l’errore più grande?

“Dal punto di vista ambientale, purtroppo, in Sardegna sono stati fatti degli errori catastrofici. Per esempio, la grande illusione di fare l’industria a Porto Torres, dove ora vedi la tragedia degli stabilimenti abbandonati della Vinils e la disperazione degli amici dell’Isola dei cassaintegrati, fino ad arrivare ad oggi con L’Alcoa, l’Eurallumina etc. Sì, sono stati fatti degli errori storici in Sardegna, quei soldi avrebbero dovuti investirli per allestire dei collegamenti efficienti con la Penisola e il resto dell’Europa, investendo tutto sul turismo e su una politica più attenta alla tutela delle coste. Sono stati degli errori pagati cari. Come quello di insistere sulle miniere, quando ormai era già chiaro che sarebbero diventate un peso. Valeva la pena, forse, anziché investire tanti soldi per lavare il carbone, utilizzare le risorse per riconvertire l’area: sistemando le strade, costruendo infrastrutture, aiutando i territori a spostarsi sull’agricoltura di qualità e i prodotti eno-gastronomici, la cultura dell’ambiente, i parchi etc. La Sardegna non se ne fa niente di 2 milioni di seconde case dove la gente vive 15 giorni all’anno. E’ chiaro che andavano fatte delle scelte differenti. Credo, però, sia una terra abbastanza integra per poter fare sotto questo profilo dei grandi passi avanti. Devono smetterla di costruire in modo scellerato. Se uno deve andare in Sardegna per trovarsi Iesolo, non capisco perché debba spendere tanto per il viaggio, a quel punto va direttamente a Iesolo e non se ne parla più”.

Cosa ne pensa delle politiche dell’attuale giunta regionale guidata da Ugo Cappellacci in tema di ambiente?

“Non conosco gli attuali piani della giunta Cappellacci, ma ho ben presente quanto ha fatto Soru, un uomo dal carattere un po’ spigoloso, che talvolta assume perfino degli aspetti antipatici, ma è fuori discussione che lui ci abbia provato a salvaguardare le coste della Sardegna. Soru ha fatto uno sforzo importante e i sardi dovranno alla lunga ringraziarlo, perché aveva ragione lui. Ha assolutamente torto, invece, chi pensa che lo sviluppo della Sardegna passi attraverso la distribuzione di migliaia di lavori edilizi ad imprese che vengono da fuori, le quali utilizzano materiali di costruzione del Continente e manodopera straniera. Alla fine cosa resta? Resta una seconda casa con dei turisti che vengono 15 giorno l’anno, ma pretendono fognature e strade, come se ci vivessero 365 giorni ‘anno. Non è questa la strada! In Sardegna, però, è nato uno dei movimenti ecologisti più interessanti del nostro Paese. Mi riferisco al Gruppo d’Intervento Giuridico di Stefano Deliperi che è in assoluto, credo, il movimento ambientalista che porta a casa i risultati migliori, perché anziché sdraiarsi davanti alle ruspe, si batte sul piano delle leggi per bloccare le porcherie di qualche sciagurato assaltatore dell’ambiente”.

Massimiliano Cordeddu

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