Regionali 2024, ipotesi M5s nel centrosinistra sardo: sì dei Progressisti, Pd di traverso

Alessandra Carta

Specie adesso che il centrodestra di Christian Solinas è in piena crisi (Giunta da rifare con tre caselle libere, l’ultima lasciata libera da Alessandra Zedda), nel campo avversario corre l’obbligo di decidere a stretto giro le alleanze. Non fosse altro che la rottura del patto politico tra Lega e Psd’Az non fa escludere a priori che la Sardegna possa andare alle urne con qualche mese di anticipo rispetto alla scadenza naturale di febbraio 2024.

Insomma, il centrosinistra deve fare in fretta, anche perché c’è da sciogliere un nodo grande così. L’incognita elettorale ruota intorno agli M5s, secondo partito nell’Isola alle Politiche del 25 settembre dopo i Fratelli d’Italia. Per i Progressisti di Massimo Zedda e Francesco Agus, la carta vincente delle Regionali 2024 è allargare il campo ai Cinque Stelle. Ma la soluzione non piace al Pd che, per via del minor consenso elettorale, non potrebbe scegliere il candidato presidente e si vedrebbe costretto a subire la scelta degli M5s. Un’onta, per i dem.

Alle Politiche di due mesi fa, il Pd ha chiuso in Sardegna al 18,68 per cento alla Camera e al 19,89 al Senato. Il partito di Giuseppe Conte, invece, ha incassato rispettivamente il 21,80 e il 21,94. Lo scarto non è affatto enorme ma sufficiente per spostare la palla dell’imprimatur nel campo dei Cinque Stelle.

Non ci sono altri motivi per cui al Pd sardo non piace l’alleanza con i grillini. Un’opzione che invece è molto gradita ai Progressisti, fautori sin dall’inizio della legislatura in Regione, a febbraio 2019, della costruzione di un’opposizione allargata. Invece i dem hanno prima rispedito al mittente l’ambizione dello stesso Zedda di fare il leader della minoranza; poi hanno partecipato con scarso interesse alla realizzazione di un fronte unico contro Solinas e la maggioranza.

Le resistenze a livello locale sono lo specchio, in piccolo, dei pessimi rapporti tra Enrico Letta e Conte. Solo che i dem, tanto a Roma quanto nell’Isola, dimenticano un particolare di non poco conto: il Pd è sempre di più un partito moderato che gli M5s hanno scavalcato a sinistra intercettando i voti degli ex comunisti. O comunque di tutta la galassia che non si riconosce nell’ibrido dem. Significa che il partito di Letta deve decidere cosa fare da grande: pensare solo a se stesso, con risultati sempre meno soddisfacenti, o ragionare in termini di coalizione mettendo insieme un progetto capace di contrastare in primo luogo i Fratelli d’Italia.

Per come stanno andando le cose adesso, il Pd sembra quasi più interessato a perdere piuttosto che sostenere un’alleanza vincente come quella che i Progressisti vogliono costruire in Sardegna.

Se anche il centrodestra dovesse riuscire a resistere per l’intera legislatura, sino a febbraio 2024, il Pd e i possibili alleati devono sedersi intorno a un tavolo quanto prima. Anche perché la Sardegna è stata spesso un laboratorio politico, precursore di alleanze. E la mossa giusta non è certamente quella di allargarsi verso il Centro, come certe tentazioni sempre in voga. ‘Caricare’ Udc e ai Riformatori è una scelta improponibile, se l’obiettivo è dare vita a un progetto alternativo al disastro fatto dal centrodestra e di cui lo scudo crociato e i liberal democratici sono espressione.

Lo scorso luglio, il centrosinistra aveva provato a fare prove di alleanza attraverso il tavolo di confronto messo in piedi dagli stessi Progressisti insieme a Paolo Maninchedda e a Paolo Mureddu, espressione di quel mondo indipendentista e autonomista che però, numericamente, è residuale, quindi non determinante. Tanto che il Pd, sebbene non compatto, aveva partecipato convintamente ai lavori, perché in un contesto simile i dem giocherebbero da padroni di casa.

Solo che in appena quattro mesi, il quadro politico ha cambiato volto: gli M5s che sembravano morti, sono più vivi che mai. Il Pd, con o senza Letta, deve farsene una ragione.

Alessandra Carta

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