Una specie di ricatto. E’ quello che emerge dalla ricostruzione dei passaggi che hanno condotto all’emanazione del decreto che consente ad Alitalia e a Meridiana di cancellare i voli nel caso in cui non ci fosse un numero di passeggeri sufficiente a garantirne la redditività economica.
Ma andiamo con ordine. Il decreto (che corregge quello de 2008 nel quale la possibilità di cancellare i voli non era contepplata) è stato pubblicato l’altro ieri sulla Gazzetta Ufficiale, a firma del viceministro dei Trasporti Mario Caccia. La motivazione è fondata sulla generale diminuzione del traffico e sul fatto che in questa fase le compagnie non ricevono soldi pubblici a titolo di compensazione. Poi c’è un’altra motivazione, non espressa ma evidente, che sta nella crisi economica di entrambe le compagnie aeree.
Fatto sta che Alitalia e Meridiana non si sono sentite sufficientemente garantite dalla possibilità di usare aerei più piccoli. Volevano di più. E l’hanno ottenuto.
E’ singolare il fatto che solo la prossima settimana – e cioè solo la pubblicazione del ‘decreto correttivo’ – le due compagnie firmeranno l’accettazione della proroga della continuità territoriale. In pratica, incassata la possibilità di non garantire la continuità territoriale, accetteranno di farsene carico. E’ paradossale, ma è esattamente quanto è accaduto.
La fase pre-elettorale ha favorito una reazione indignata da parte del mondo politico. Con Mauro Pili, capolista del Pdl alla Camera dei deputati, che annuncia esposti alla procura della Repubblica e sit-in di protesta.
Di certo la norma, così come è formulata nel testo pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, rende incerto il trasferimento dagli aeroporti sardi a Roma e a Milano. Annullando di fatto il beneficio del minor prezzo. E anzi creando potenzialmente situazioni idonee a causare danni. Tra l’altro non è chiaro con quale anticipo le compagnie dovranno comunicare la cancellazione del volo e se questa possibilità varrà anche per l’ultimo volo della giornata. Col risultato, in questo caso, non solo di partire in ritardo ma proprio di non partire.