Sta scatenando il panico e reazioni scomposte in tutta l’Isola la sentenza del Consiglio di Stato che blocca al 31 dicembre 2023 la proroga delle concessioni balneari, per effetto della direttiva europea (cosiddetta Bolkestein) approvata nel 2009 e finora sempre disattesa. L’idea di un bando europeo e trasparente per la gestione di beni pubblici come le spiagge, fa paura a chi da moltissimi decenni ha in mano le concessioni nelle spiagge sarde.
La paura è che arrivino i grandi gruppi a gestire i litorali dell’isola e che vengano gettati in mare posti di lavoro sardi e investimenti imprenditoriali realizzati sugli 800 chilometri di costa nell’Isola. È la stessa paura di 13 anni fa, quando la direttiva Bolkestein entrò in vigore. Dava tempo tre anni agli Stati membri per adeguare i principi di assegnazione delle concessioni. L’Italia, non contenta, l’ha portata fino al 2015, poi al 2020.
E non è bastata la condanna da parte della Ue l’Italia, nel 2018 il Governo ha deciso (senza aspettare la scadenza della terza proroga) di andare al 2033. Così ha fatto la Regione, recependo integralmente la norma nazionale che configgeva pesantemente con quella europea, allungando tutte le concessioni di 15 anni. Quindici anni già finiti nel mirino dell’Antitrust, contraria ai monopoli in difesa della concorrenza proclamata dall’Europa.
Ma sei Comuni si erano opposti (Cagliari, Quartu Sant’Elena, Olbia, Arzachena, Loiri Porto San Paolo e Posada) e avevano prorogato le concessioni soltanto di un anno, anziché fino al 2033. Hanno avuto ragione loro e ora cade la diffida che la Giunta Solinas aveva inviato loro intimando di rispettare una decisione contraria alla normativa comunitaria.
Ci sono ancora due anni per studiare strategie e capire come si dovrà procedere, soprattutto in Regioni come la Sardegna dove il settore dà lavoro a oltre 30mila sardi e famiglie nelle 900 imprese balneari di tutta la Regione. (Mar. Pi.)