Olbia, due anni dall’alluvione tra processi e soldi che non arrivano

Due anni. Due anni da quel terribile 18 novembre 2013 in cui è cambiato il destino di 19 vite che non ci sono più e la storia di Olbia, città che ha una ferita che non potrà mai rimarginare. Quello che è passato tristemente alla storia come il ciclone Cleopatra, “l’alluvione”, come la chiamano più prosaicamente da queste parti, non si dimentica. Arriva la seconda fiaccolata in onore delle vittime, due bambini, padri, madri, nonne, figli e genitori sepolti da un’ondata di fango. Ma a distanza di due anni restano inevase le risposte, chiamiamole pure responsabilità, quelle che è doveroso trovare davanti alle morti e al caos generati da un evento atmosferico che non può restare l’unico colpevole non imputabile. Restano praticamente inevase le risposte sui soldi promessi a una città e un territorio (il nuorese è stato colpito pesantemente) che hanno subito danni devastanti, strade interrotte, scuole chiuse e tanto altro. Resta soprattutto la paura. Ogni volta che piove. A quasi due anni di distanza, lo scorso primo ottobre, la pioggia è scesa copiosa su Olbia e la parola alluvione è tornata. Nessun morto, per fortuna. Ma case devastate, famiglie costrette ad abbandonare le loro dimore, accuse, giustificazioni e , di nuovo, promesse. Quelle del Governo. Cambiano i presidenti del Consiglio (da Letta a Renzi), cambiano i ministri dell’Ambiente (da Orlando a Galletti) e i presidenti della Regione (da Cappellacci a Pigliaru), ma il conto, su una montagna di soldi necessari – almeno 81 milioni facendo di conto su quanto promesso – per rimettere a posto a Olbia e dati per sicuri, dice: 16 milioni di euro. Gli unici arrivati a destinazione.

Il fronte giudiziario. I sindaci di Olbia e Arzachena, Gianni Giovannelli e Alberto Ragnedda, sono stati rinviati a giudizio per il reato di omicidio colposo plurimo. Insieme a loro andranno a processo il prossimo 16 dicembre a Tempio tre dirigenti del Comune di Olbia e uno della Provincia di Olbia-Tempio. Oltre a quella più grave, le altre accuse sono di violazione delle norme relative all’attivazione delle procedure di emergenza e mancata allerta alla popolazione. Il paradosso di questa vicenda è che le stesse persone, almeno quelle di Olbia, che sono sotto processo, hanno gestito l’alluvione dello scorso ottobre in modo tempestivo e appropriato. E l’ulteriore paradosso è che il comportamento di poco più di un mese fa costituisce forse la dimostrazione più evidente delle colpe (presunte) di due anni fa. Perché non furono adottate le stesse precauzioni? Perché non furono chiuse le scuole? Perché non fu allertata con tutti i mezzi a disposizione la popolazione? Qui sta la chiave del processo e delle responsabilità da accertare.

Evento imprevedibile o colpa delle autorità? I sindaci si difendono dicendo che l’evento era tanto imprevedibile quanto poco tempestiva e coordinata fu l’azione della Protezione civile regionale. Quel lunedì iniziò a piovere dalla mattina e gli avvisi di criticità elevata arrivarono la domenica pomeriggio. Poi la fatidica “bomba d’acqua” che devastò Olbia in poche ore. Il problema è che la catena di comando che da Cagliari portava ad Olbia si è interrotta nella fase processuale. Il presidente della Regione, Ugo Cappellacci e con lui l’assessore all’Ambiente dell’epoca, Andrea Biancareddu e l’allora capo della Protezione civile, Giorgio Cicalò, sono stati prosciolti da tutte le accuse. La tesi della Procura è che la Regione e la Protezione civile abbiano adempiuto ai loro compiti. Dunque quel 18 novembre del 2013 fu il Comune, la sua catena di comando, a non funzionare. Vero? Falso? La verità processuale probabilmente cercherà di stabilire una minima certezza su chi abbia sottovalutato l’evento catastrofico o se tale evento non fosse assolutamente prevedibile in quelle proporzioni e dunque gli apparati di sicurezza del Comune di Olbia siano (incolpevolmente) stati colti alla sprovvista.

Il Piano Mancini e la mitigazione del rischio idrogeologico. I soldi, dunque. Detto di quelli stanziati, 16 milioni, va registrato il recente Accordo di programma firmato dalla Regione con il Governo che riguarda la completa attuazione del primo lotto di interventi per complessivi 25 milioni e 300 mila euro, di cui 9 milioni resi disponibili dalla Regione nell’ambito del Piano infrastrutture, mentre il resto arriva proprio dal primo stralcio del Piano contro le alluvioni nelle città metropolitane. Olbia non è una città metropolitana ma per lei è stata fatta un’eccezione: si è stabilita la necessità di intervenire con urgenza. Questi soldi serviranno a finanziare una parte del cosiddetto Piano Mancini, il progetto per la mitigazione del rischio idrogeologico che in città sta sollevando da mesi inaspettate polemiche. Il piano Mancini, che sarebbe finanziato per una cifra complessiva vicina ai 110 milioni di euro, prevede la costruzione di quattro vasche di laminazione vicino alla città per raccogliere l’acqua dei canali, che saranno allargati. Contro questo progetto si è schierato un comitato che contesta lo strumento degli espropri per 95 ettari e propone invece la costruzione di un canale nelle campagne alle spalle di Olbia che porterebbe l’acqua verso Cugnana a nord e il Lido del Sole a sud. Intorno ai progetti restano sempre il problema del Governo, che non ha ancora decretato lo stato d’emergenza per l’alluvione dell’ottobre scorso e le interminabili polemiche sul diverso trattamento del post alluvione Cleopatra per i comuni sardi: Genova ha visto evase l’80% delle domande di rimborso per i danni subiti, Olbia niente. Lo Stato non ha ancora pagato. Finchè c’è il sole molti dimenticano. Ma alle prime piogge torna sempre la paura.

Giandomenico Mele

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