Lo sfogo di Paolo, tra Sla e truffe: “Qualcuno si è preso gioco di me”

“Vorrei che tutto questo non fosse mai avvenuto, vorrei che questo mondo fosse un luogo più semplice e pulito di ciò che è”. Paolo Palumbo, il giovane chef oristanese malato di Sla, sta vedendo andare in frantumi il suo sogno di farsi curare con una terapia sperimentale e accusa il colpo: “Vorrei solo essere un ragazzo come tutti gli altri, ma invece mi è toccata la Sla, che pezzo dopo pezzo, si sta portando via anche la mia anima“. È l’amara conclusione di chi a 21 anni non accetta di farsi divorare dalla Sla e vuole lottare per la vita. Paolo sapeva di essere stato inserito in un protocollo di sperimentazione in Israele e aveva avviato una raccolta fondi per permettersi quelle cure costose, ma negli ultimi giorni c’è stato il brusco ritorno alla realtà, non era vero niente: i contatti erano stati con degli impostori nascosti dietro false email e Paolo non è mai stato inserito nella sperimentazione della Brainstorm. Ieri la famiglia ha presentato una dettagliata denuncia alla polizia postale e Paolo ha rotto il silenzio su Facebook scrivendo un lungo post che ripercorre la vicenda.

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“Il mio silenzio di questi giorni sui social è stato doveroso. Sul web ne ho lette di cotte e di crude, rimbalzando tra le definizioni di ‘truffatore‘ e quelle che mi vedevano dare la colpa agli ‘haters‘ per la delicatissima situazione in corso. Smentisco categoricamente: non sono un truffatore e gli haters non hanno colpe, se non quelle di ferire i miei sentimenti. Ho scelto di rimanere in silenzio fino ad oggi perché mi hanno insegnato che prima di proferire parola bisogna sapere ciò di cui si andrà a parlare, e così ho fatto”.

Paolo Palumbo sceglie di ripercorrere tutte le tappe principali della vicenda, per chiarire la sua posizione. “In seguito al mio sciopero della fame, durante i primi giorni di aprile abbiamo ricevuto dalla Nunziatura apostolica di Gerusalemme, i contatti di due medici della clinica Hadassah (dove mi sarei sottoposto alla cura sperimentale). Uno di questi due contatti era il professor Dimitrios Karussis – scrive -. Il mio medico, dottor Vincenzo Mascia, ha iniziato uno scambio di email con il professore, ricevendo però risposta da un indirizzo di posta alternativo all’originale (giustificato dall’interlocutore come indirizzo usato inseguito al crash della sua mail principale)”.

Dopo la comunicazione dell’inserimento nelle cure a Gerusalemme, arriva la stima dei conti da pagare: sempre da quella che si è rivelata essere una finta mail del professor Karussis. “Il 21 aprile, arriva la specifica per ciò che riguarda la cifra da spendere per l’acquisto della terapia, dunque il 24 aprile (quindi solo dopo la notifica da parte del medico) è stata indetta la campagna di GoFundMe che tutti voi conoscete bene”. Qualcuno aveva provato ad avvisare la famiglia Palumbo, ma non è stato creduto. “Il 20 maggio Rosario ha pubblicato un post in cui si faceva riferimento a una mail anonima che ci ha avvertito nei confronti di una persona che metteva in dubbio la nostra trasparenza. Quella stessa mail ci avvisava che con tutta probabilità quello stesso personaggio stava creando account fasulli per depistarci – ammette -. E noi siamo cascati nel tranello. Infatti, quando abbiamo ricevuto una mail dal Ceo della casa farmaceutica che produce il protocollo sperimentale, abbiamo dubitato immediatamente della sua autenticità”.

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Poi la svolta dei giorni scorsi,che ha fatto crollare tutto il castello di carte e i sogni di Paolo. “Il 28 maggio arriva il fulmine a ciel sereno: un comunicato ufficiale sul sito della terapia si dissocia dalla mia campagna di raccolta fondi, sottolinea che non sono mai stato preso in considerazione per il trattamento sperimentale ed afferma di aver avuto difficoltà a mettersi in contatto con me. Potete immaginare come il mondo ci sia crollato addosso“. I Palumbo hanno cercato di organizzare tutte le carte per ricostruire la vicenda. “Tra il 29 ed il 30 maggio quindi, ci siamo subito attivati per fare ordine in tutto il materiale a nostra disposizione. Giovedì 30 maggio alcune persone si sono messe in contatto con il professor Karussis, che nega di aver mai preso parte alla vicenda, confermando che tutte le mail da noi ricevute nel giro di 40 giorni provenissero da un account falso“.

Tra grandi bonifici e accrediti di pochi euro, sono stati più di quattromila i donatori che hanno versato per la causa oltre 159mila euro e anche la piattaforma che organizza le raccolte fondi ha voluto vederci chiaro. “Il personale di GoFundMe può confermare di essersi messo in contatto con noi per fare luce sulla vicenda, e qualora non fossimo stati in grado di fornire tutta la documentazione necessaria ad attestare la nostra buona fede, avrebbero chiuso la campagna e rimborsato i donatori. Come potete vedere, la campagna esiste ancora ed i soldi non saranno toccati fino all’arrivo di notizie concrete sullo stato delle cose. Lo stesso materiale raccolto per il sito è stato fatto pervenire alla polizia postale, che ci ha accolti oggi stesso”.

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“Io, Paolo Palumbo, 21 anni, mi sono ritrovato vittima di qualcuno che si è preso gioco di me, delle mie condizioni e di tutte le persone che nutrivano una speranza in questa storia. Sono completamente estraneo alla criminosa realtà dei fatti e vorrei dire a chi sta dietro a tutto ciò: hai trasformato il sogno di un ragazzo innocente che sta morendo, nel peggior incubo immaginabile e pagherai per quello che hai fatto. La mia unica colpa? Forse quella di voler guarire”.

La speranza in un lieto fine c’è ancora, la famiglia Palumbo sta cercando di ottenere sul serio il via libera alle cure di Paolo. “In questo momento, non solo siamo in contatto con un avvocato di Tel Aviv, ma abbiamo un filo di comunicazione diretto con il personale ‘reale’ della casa farmaceutica che produce il farmaco, che è stata dettagliatamente informata dei fatti e stiamo cercando di capire la miglior soluzione possibile. – chiarisce Paolo -. Voglio rassicurare tutti i donatori che hanno permesso alla campagna di arrivare all’incredibile cifra di 159mila euro: i vostri soldi sono al sicuro, se verranno spesi sarà ‘solo ed esclusivamente’ per la causa per cui li avete versati. In caso ricevessimo la drammatica notizia dell’impossibilità della mia ammissione alla cura, vi saranno restituiti fino all’ultimo centesimo (indipendentemente che abbiate donato su PayPal, sul conto privato o sulla campagna pubblica)”.

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