Farmacista muore nel carcere di Uta. La denuncia: “Nell’Isola i i detenuti non vengono curati”

Paolo Ledda, farmacista algherese, aveva 57 anni. Domenica è morto nel carcere di Cagliari-Uta, dove era stato trasferito da Sassari perché solo nel penitenziario del capoluogo c’è il Sai, il Servizio di assistenza intensiva. La notizia del decesso la scrive in un comunicato Maria Grazia Caligaris, la presidente di Sdr, Socialismo diritti riforme, l’associazione che tra le altre cose si occupa di detenuti.

È una denuncia pubblica, quella scritta dalla Caligaris perché Ledda aveva disturbi psichici e la presidente di Sdr sa bene cosa succede a detenuti in quelle condizioni, “tenuti inermi nelle celle con psicofarmaci“. Si legge nel documento della Caligaris: “L’urgenza di una sanità penitenziaria adeguata ai bisogni di donne e uomini privati della libertà non può essere più sottovalutata. Manca una vera e propria integrazione tra il Reparto diagnostico terapeutico della Casa circondariale, strutturato e gestito da Asl e Areus, con quello degli analoghi reparti degli ospedali. Il direttore sanitario di Cagliari-Uta ha lo stesso grado di competenze e responsabilità di un collega dirigente in servizio in un ospedale pubblico, ma per disporre un ricovero deve chiedere il permesso e così anche per un qualunque intervento chirurgico, a meno che il paziente-detenuto non sia in punto di morte”.

Sulla morte di Ledda sarà adesso l’autopsia a chiarire le cause. Il farmacista era in carcere per scontare una pena di nove anni. Era accusato di strage per aver portato una bombola del gas sino alla sede Unipol di via XX Settembre ad Alghero, inchiodato dalle telecamere che lo ripresero mentre arrivava in bicicletta. Nel corso del processo, arrivato sino all’Appello, ci furono almeno due perizie psichiatriche che certificarono la sua fragile condizione. Tanto che la sua patologia venne dichiarata incompatibile con la detenzione.

Ledda, però, è stato lasciato in carcere, malgrado gli appelli dei familiari, preoccupati per le sue condizioni di salute. Avant’ieri la morte in cella, “un fatto che genera sgomento e suscita interrogativi che vanno aldilà di un’inchiesta della magistratura. Al dolore dei familiari e degli operatori penitenziari per la scomparsa di una persona – denuncia la Caligaris – ci si chiede che cosa si può fare per evitare fatti così traumatici”.

Nel carcere di Cagliari-Uta ci sono “575 detenuti”, quindi “oltre il limite regolamentare di 561 posti: il caldo scioglie perfino gli abiti addosso e limita la respirazione, mancano da gennaio gli specialisti di Oculistica e Dermatologia, da quattro mesi quelli di Ginecologia e Neurologia. Non è possibile continuare a ignorare questa situazione, a cui si può sopperire con le visite ospedaliere. Ma accompagnare i detenuti e le detenute in un nosocomio richiede l’autorizzazione della magistratura di sorveglianza o di un Giudice, necessità della disponibilità della scorta, a sua volta condizionata dallo scarso numero di agenti. Il risultato è che le persone con necessità di controlli per patologie importanti rischiano di aggravarsi. L’assenza di poter accedere a una visita specialistica esaspera gli animi di chi si sente abbandonato e genera reazioni inconsulte”.

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