Sa Paradura mediatica e il silenzio della campagna

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Simone Maulu, Associazione Culturale Governo Provvisorio, indipendentista

Da qualche tempo la Sardegna pare avere un ambasciatore culturale, autoproclamatosi tale, che a simbolo della sardità si esibisce in giro per le feste sarde con un cinghiale imbalsamato sul palco incarnando di fatto un cliché che sicuramente non rappresenta la nostra isola e il nostro Popolo. Gigi Sanna sa che sa Paradura è un’antichissima tradizione sarda, che esiste dalla notte dei tempi e che ancora oggi si pratica nel mondo agropastorale, ma continua a sottometterla a logiche mediatiche e a forzarla alla società dell’immagine senza comprendere quasi nulla della cultura che ha prodotto e fatto vivere questa forma di solidarietà fino ai giorni nostri.

Sa paradura è un gesto di solidarietà spontanea che le nostre comunità hanno sempre praticato e continuano a praticare, per sopperire alle disgrazie che in campagna possono capitare a chiunque. Per questo, difronte al furto del bestiame, ad una epidemia che colpisce il gregge o a qualsiasi altra calamità naturale, questa sorta di rete mutualistica, spontanea e autogestita, fatta di amici, vicini di pascolo e talvolta perfino sconosciuti, si mobilita per mettere a disposizione una pecora ciascuno, o meglio, la pecora migliore, per sopperire alle avversità improvvise di un componente della comunità e aiutarlo a ricostituire il proprio gregge.

Questo gesto comunitario di altissimo valore sociale si effettua sospendendo il giudizio. Non è importante conoscere la causa del danno che la persona ha subito, né quale sia la storia di quel pastore. Ciò che conta è rimediare al danno, quasi come un dovere morale, un principio etico sacrosanto. Tutto questo in silenzio, senza ottenere né pretendere niente in cambio e con una discrezione inviolabile. Talvolta si evita perfino di parlane con l’interessato per via di quella delicatezza tutta pastorale e di campagna, che proprio per la sua invisibilità è sconosciuta ai cittadini.

Ebbene oggi assistiamo alla sodomizzazione di questa cultura elegantissima e ci ritroviamo ad assistere alle grevi mosse del cantante/pastore Gigi Sanna che, insieme alla Coldiretti, si fa spesso promotore di iniziative di solidarietà pubblicizzata a nome del Popolo Sardo prendendo spunto dalla nostra cultura millenaria ma svilendola nei principi fondanti. Prima il viaggio sotto i riflettori delle pecore donate ai pastori di Cascia, mille secondo i promotori, e ora con il plateale e maldestro intento di donare quindici agnelle a Matteo Boe. Gesto già rispedito al mittente e perfino ritirato dal suo promotore. Ma davvero per donare quindici agnelle ad una persona è necessaria questa esposizione mediatica? Mille pecore che partono dalla Sardegna potrebbero anche non passare inosservate se nei porti ogni giorno non ci fosse un incessante traffico di bestiame. Ma per rendersi conto che non avrebbero destato alcun sospetto basta andare, una mattina qualsiasi, al porto di Olbia o di Porto Torres per vedere quanto bestiame sbarca in Sardegna, sotto gli occhi di tutti, anche di Coldiretti, per soddisfare il mercato alimentare sardo.

E così Gigi Sanna, che magari nel frattempo si è anche chiesto se davvero Matteo Boe non avverrebbe potuto contare su una rete solidale sua e che lo potesse sostenere con discrezione, si tira indietro, e dalla pagina degli Istentales, non pago della sua retorica da palco scenico, pubblica il seguente post: “I sardi hanno un’anima che è dettata dalla storia dei propri avi con culture e tradizioni. Oggi, dopo tutte le polemiche, abbiamo deciso di revocare il gesto più arcaico è rappresentativo della comunità sarda all’uomo Matteo Boe. Non possiamo permettere che i leoni di tastiera infanghino e soprattutto denigrino la persona umana con un gesto che, dalla notte dei tempi, appartiene al popolo sardo. Scusa Matteo… non che ghetto a galera unu sardu liberu”.

A galera no, ma senza aver chiesto nulla, l’ha esposto ad una vera e propria gogna, che ha davvero poco a che spartire con la cultura sarda a cui si riferisce (a parole)..tanto meno a quella pastorale, che crede di poter rappresentare con i metodi gossipari dei media. Mi chiedo cosa ne pensino davvero i pastori. E cosa ne pensi la Regione Sardegna che all’expo di Milano lo ha mandato a rappresentarci con le sue canzoni. Una perfino in nuragico. Matteo Boe invece si appella, con ben altro stile, al silenzio della campagna.

 

 

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